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No, la democrazia si deve difendere da chi lavora per distruggerla

È un genio, ma si è messo al servizio di una dittatura

No, la democrazia si deve difendere da chi lavora per distruggerla
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Vladimir Urin è un apprezzato regista teatrale e per 10 anni ha diretto, con merito, il Bolshoi di Mosca. Poi, allo scoppio della guerra in Ucraina, ha firmato una lettera aperta in cui si chiedeva di mettere fine alle ostilità. Al Cremlino è bastato. Vladimir Putin si è affrettato a sostituirlo con il suo braccio destro in materia culturale, Valery Gergiev, l'uomo che da sempre ha fatto da cassa di risonanza alle sue iniziative, che prima di ogni (finta) elezione ha fatto campagna e dichiarazioni di voto per lui.

Gergiev, tra i migliori direttori d'orchestra a livello internazionale, non è uno di quei musicisti che rivendicano con il proprio comportamento l'autonoma grandezza dell'arte, al di là e al di fuori di ogni altra dimensione.

Al contrario ha messo, nei fatti, il suo enorme talento al servizio di un progetto politico. Quello di chi, nel nome di una sempiterna grandezza imperiale, rivendica il diritto di imporre, con le buone e le cattive, la propria volontà ai Paesi vicini. Di chi scatena guerre sanguinose puntando missili e droni contro i civili. Di chi uccide oppositori e giornalisti, mette in galera e condanna a pene durissime artisti e scrittori come Boris Akunin, a cui, da semplice avversario del regime, è appena toccata una condanna a 14 anni di colonia penale.

A questo si aggiunge, a mò di dettaglio curioso, che il ricco patrimonio immobiliare di Gergiev nel nostro Paese (ville, palazzi principeschi, edifici residenziali), come risulta da un reportage de Linkiesta, è un singolare via vai di diplomatici, oligarchi, e non meglio identificati russi in viaggio per l'Italia.

Offrire una vetrina a un personaggio del genere, premiarlo con una ribalta alla Reggia di Caserta è una sublime e ammirevole prova di quanto siano aperte le società occidentali. Ma appare anche un esercizio, se si vuole sempre sublime e ammirevole, di autolesionismo, specie se si pensa al paradosso della tolleranza di cui parlava Karl Popper: "se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l'attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza, con essi".

Per Putin, Gergiev e compagnia le democrazie liberali sono condannate a un'inarrestabile decadenza di cui sono già pronti ad approfittare. A Mosca considerano il nostro rispetto per la diversità di opinioni e atteggiamenti come imbelle relativismo destinato alla sconfitta. Disprezzano la nostra libertà, pur essendo i primi a volerne godere, specie se si tratta di esportare capitali o di far studiare i figli nelle migliori università. Pretendono di usare i nostri valori contro di noi.

E, come Lenin diceva a suo tempo della borghesia, si aspettano che sia l'Occidente stesso a fornire la corda con cui impiccheranno il nostro mondo. Anche per questo la tolleranza verso gli intolleranti deve porsi un limite.

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