Cronache

Nobel per la pace a due giornalisti "Custodi di libertà e democrazia"

Il Premio assegnato alla filippina Ressa e al russo Muratov, che lo dedica ai sei colleghi di Novaya Gazeta uccisi e a Navalny

Nobel per la pace a due giornalisti "Custodi di libertà e democrazia"

Spiati, come è accaduto ad almeno 180 giornalisti controllati attraverso lo spyware Pegagus. Uccisi, come è successo alla russa Anna Politkovskaja nel 2006 e all'olandese Peter de Vries quest'anno. Ma a volte anche premiati, come è successo ieri con l'annuncio dell'assegnazione del premio Nobel per la Pace alla filippino-americana Maria Ressa e al russo Dmitry Muratov per «lo sforzo nel salvaguardare la libertà di espressione, una precondizione per la democrazia e la pace duratura».

I giornalisti si prendono la rivincita o quanto meno ciò che spetta a chi, come i premiati, combatte in prima fila - e a volte anche a rischio della vita - per riferire fatti e notizie, anche se scomodi per governi e leader politici. «È un premio per chi è morto difendendo il diritto alla libertà di espressione» dice con generosità e modestia il vincitore russo Muratov, 59 anni. «Non posso prendermi il merito. È un premio per Novaya Gazeta», commenta il fondatore del giornale di inchiesta, che ne è stato direttore e oggi caporedattore, e che dal 2000 a oggi ha perso sei colleghi, uccisi a causa della professione e della schiena dritta - direbbe Indro Montanelli - con la quale la esercitavano. Muratov ha dedicato a loro il premio, citandoli uno per uno. «Sarebbe stato meglio se ci avessero chiuso, piuttosto che uccidere tutte queste persone», aveva detto in un'intervista a Politico nel 2017. Sulla situazione attuale nel suo Paese parla chiaro come è abituato a fare: «In questo momento, il giornalismo in Russia è represso. Cercheremo di aiutare le persone definite agenti stranieri, attaccate e costrette a lasciare il Paese». E spiega che a meritare il premio, secondo lui, quest'anno sarebbe stato Alexey Navalny, blogger e oppositore politico di Vladimir Putin. Il Cremlino finge di non capire e si congratula con Muratov per il «coraggio e il talento». Ma la polemica non è chiusa. «Invece di chiacchiere pompose e ipocrite sulla libertà, avrebbero potuto proteggere una persona sopravvissuta all'assassinio e presa in ostaggio dagli assassini - dice all'indirizzo del Comitato norvegese Ruslan Shaveddinov, del Fondo anticorruzione di Navalny - Oppure avrebbero potuto sostenere una persona che combatte contro il fascista baffuto», insiste il collaboratore del blogger finito in carcere da gennaio dopo l'avvelenamento.

Ma è l'unica polemica sui due Nobel, uno dei quali alla filippina, naturalizzata statunitense, Maria Ressa, 58 anni, già premiata più volte in passato per il suo lavoro. Per vent'anni Ressa ha lavorato come giornalista investigativa nel Sud-Est asiatico per la Cnn. Ma è soprattutto con Rappler, sito investigativo di cui è amministratore delegato, che è diventata la voce critica della presidenza di Duterte nelle Filippine e delle sue «esecuzioni extragiudiziali». Per questo è stata arrestata due volte, oggetto di dieci mandati d'arresto negli ultimi due anni, e rischia ora fino a 6 di carcere per una condanna per diffamazione. «La stampa libera oggi affronta condizioni avverse. Subiamo attacchi e intimidazioni - ha spiegato Ressa dopo la notizia del premio - Spero che questa edizione ricordi ai governi di tutto il mondo di rispettare i giornalisti e il giornalismo». Al fianco dei vincitori c'è la sorella di Daphne Caruana Galizia, la reporter di Malta uccisa nel 2017: «Personificano il valore e l'importanza della libertà di stampa e i rischi che i giornalisti corrono nell'affrontare il potere».

Anche Mikhail Gorbaciov, ultimo presidente dell'Urss e Nobel per la Pace parla di «evento»: «Il riconoscimento accresce l'importanza della stampa nel mondo contemporaneo».

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