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"Noi circondati da emergenze multiple. Abbiamo perso l'illusione della sicurezza"

Lo psicologo Luca Pezzullo: "Dalla violenza sociale ai disastri ferroviari, il cervello è sovraesposto a notizie legate a pericoli. Così cresce la nostra ansia"

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Prima la pandemia, poi la guerra, tragedie, stupri, incidenti, alluvioni. Le cronache possono creare ansie e paure, soprattutto tra i più giovani e fragili. Un tema che Luca Pezzullo, psicologo dell'emergenza e presidente dell'Ordine degli psicologi del Veneto, conosce bene.

Possiamo parlare di un tempo dell'ansia?

«Negli ultimi anni ci siano spostati da uno scenario di emergenze multiple, in primis la pandemia, a una serie di scenari di incertezze economiche, sociali e lavorative, poi la guerra e eventi vari che ci hanno portato a vivere in una situazione in cui la cosiddetta illusione di sicurezza collettiva è venuta meno. E questo senso di insicurezza può avere un impatto importante a livello sociale, tanto che negli ultimi tempi la categoria ha osservato che la domanda di bisogni psicologici è aumentata in maniera significativa».

Le notizie drammatiche che effetto hanno sulla nostra mente?

«Di fronte ad eventi negativi e non controllabili, come possono essere l'incidente grave o la violenza, la nostra mente prova angoscia, ansia, cerca di attribuire responsabilità, trovare regolarità, prova a capire in che modo difendersi. Questa saturazione di angoscia, rimandata in maniera significativa a livello mediatico, ci fa percepire di vivere in un ambiente e in un mondo pericoloso, angosciante e ansiogeno, anche se lo scenario in realtà potrebbe essere diverso, come dimostrano le statistiche sugli omicidi, che creano grande allarme sociale, ma che nel 1990 in Italia erano in media 3mila all'anno, mentre oggi sono circa 300».

Quindi capita che la nostra percezione degli eventi sia un po' diversa dai dati effettivi.

«Si, la mente può giocare brutti scherzi se si continua a sentir parlare di pochi eventi molto attivanti. Questo perché le informazioni relative a episodi violenti o pericolosi non vengono elaborati dalla stessa parte del cervello che fa delle riflessioni razionali, cioè la corteccia, ma attivano le nostre parte limbiche, più primordiali, meno evolute del nostro cervello che sono deputate ad elaborare le informazioni relative alla sicurezza e alla sopravvivenza, legate ad un vissuto emotivo molto viscerale. Quindi quando c'è una notizia che spaventa si attiva questo sistema limbico, che ha delle reazioni un po' estreme e analizza meno razionalmente i dati».

Certe brutte notizie possono determinare dunque delle reazioni di pancia?

«Esatto, che possono portare a valutazioni scorrette e che spaventano perché sono informazioni con le quali ci si può identificare. Essere subissati da una sovraesposizione a continui elementi attivanti di tipo limbico, come la notizia di una violenza o di un tragico incidente, ci dà una sensazione di iperattivazione di queste strutture primordiali del nostro cervello legate alla sopravvivenza che ci danno la percezione di essere in una situazione di rischio pervasivo. E chiaramente questo ci preoccupa anche se effettivamente certe incidentalità in termini statistici non sono rilevanti. C'è comunque il rischio di un processo identificativo: quando sentiamo una cattiva notizia le nostre menti pensano che potrebbe accadere anche a noi perché si attiva questo meccanismo limbico di preparazione alla sopravvivenza».

I mass media hanno un ruolo in questo meccanismo?

«L'informazione è spesso spostata su aspetti molto ansiogeni, mentre la rappresentazione delle informazioni dovrebbe essere il più possibile equilibrata con meno dettagli attivanti e una maggiore contestualizzazione».

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