«Noi competitivi solo se stiamo uniti»

Il sindaco di Ascoli: «Con la rottura assist a Grillo e Renzi»

Gian Maria De Francesco

Roma «Più proposte, meno slogan». Il sindaco di Ascoli ed esponente di Forza Italia, Guido Castelli, ritiene superabili le dialettiche interne al centrodestra che stanno sottraendo energie preziose alla riconquista della centralità politica. Il suo messaggio, infatti, è semplice: quando il centrodestra governa ed è compatto, è efficace. Dividendosi, si autocondanna all'estinzione.

Sindaco Castelli, cosa sta succedendo nel centrodestra?

«Sono convinto che il miracolo del centrodestra sia stato quello di Berlusconi che ha saputo unire la componente moderata e quella che oggi molti chiamano populista e che io definirei forte. Questo è l'orizzonte, mentre oggi sembra che ci si debba polarizzare. Invece dobbiamo riproporre una coalizione unitaria».

Cosa pensa di ciò che è successo sabato scorso?

«Sabato si è persa l'occasione di rivolgere un richiamo unitario a votare No. Sono stato a Firenze, invitato dal governatore ligure Giovanni Toti, per esprimere la mia contrarietà come sindaco alla riforma costituzionale. Allo stesso modo, collaboro anche con Parisi. Comportandosi come i capponi di Renzo si fa un favore al premier e a Grillo, marginalizzando il centrodestra».

Perché tante tensioni?

«Il problema è stato ben evidenziato dal direttore Sallusti nel suo editoriale di ieri. L'intento di Parisi, con il quale ho collaborato, è quella di richiamare al voto molti italiani che prima si rivolgevano al centrodestra. Allo stesso modo, non ci potrà essere centrodestra senza pensiero forte».

L'esempio di Padova non lascia ben sperare.

«Quello che è accaduto a Padova è stato ignobile, infame. Dopo che la coalizione si era battuta per sottrarre la città alla presa sinistra dell'ex sindaco Zanonato, due consiglieri di Forza Italia hanno votato assieme al Pd per far cadere la giunta. Non si fa che allungare la tradizione di contrasti interni al centrodestra. Non ce n'è bisogno. Vagheggiare rotture e ritorsioni ci consegna all'irrilevanza. E io non voglio morire né renziano né grillino».

È giusto parlare di leadership in questo momento?

«Prima i programmi e poi la leadership. Se si pensa che la flat tax, proposta iperliberista, è uno dei capisaldi di Salvini, si comprende bene che le distanze siano molto più ridotte di quanto si possa immaginare».

Salvini o Parisi?

«La leadership dipenderà dalla prossima legge elettorale: se resterà l'Italicum, non si potrà non costituire una lista unica del centrodestra. Se, invece, dovesse esserci un ritorno al proporzionale, ognuno potrebbe fare propaganda con il proprio partito per accordarsi dopo le elezioni. Attualmente, i leader sono quelli dei partiti della coalizione cui si aggiunge Parisi. In ogni caso, non si può non pensare a un ruolo di regia per Silvio Berlusconi».

In che senso?

«L'ideale sarebbe che Berlusconi indicasse assieme ad altri colui che meglio è in grado di intercettare il consenso. Ci distinguiamo più sugli slogan che sui temi. Ad esempio, sul tema dell'immigrazione siamo tutti contrario alla politica di ingressi indiscriminati portata avanti dal governo».

Salvini, Meloni e Toti sono favorevoli alle primarie.

«In assenza di un accordo politico sarebbe meglio trovare un altro tipo di intesa. Comunque, siamo competitivi solo uniti».

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