Coronavirus

Nuovi contagi sotto quota mille ma terapie intensive sopra 100

Il bollettino preoccupa per il numero dei ricoverati in rianimazione: 107. Per la prima volta dal 26 giugno

Un operatore sanitario in un reparto di terapia intensiva (La Presse)
Un operatore sanitario in un reparto di terapia intensiva (La Presse)

Sale ancora il numero dei ricoverati in terapia intensiva. Per la prima volta dal 26 giugno scorso supera quota cento (107). Certo un dato lontanissimo dai giorni del picco in aprile con oltre 4mila casi ma che comunque desta attenzione perché proprio il numero di ricoveri nei reparti di intensiva è considerato l'indice più significativo per valutare l'andamento dell'epidemia.

L'incremento dei casi resta invece sotto quota mille con 978 nuovi positivi. Colpisce però il dato della Lombardia con 242 nuovi casi, seguita dal Lazio con 125 e la Campania con 102. Salgono anche i ricoveri, 1.380 in totale mentre le vittime in 24 ore sono 8 per un totale di 35.49. È un dato positivo invece l'incremento dei tamponi, 81.050, con il quale si evidenzia che il rapporto positivi/tamponi resta stabile sul lungo periodo, 1,2, e scende rispetto al giorno precedente che segnava 1,7.

Sono numeri che gli esperti, i responsabili dei servizi di prevenzione, del Comitato Tecnico Scientifico e dell'Istituto Superiore di Sanità seguono con attenzione soprattutto in vista della riapertura delle scuole che, lo ripetono da giorni, sarà un banco di prova importante per capire se le misure per contenere il virus implementate negli ultimi giorni sono efficaci a contenere la diffusione del virus mantenendola sotto controllo.

Anche se l'Italia si dovesse trovare ad affrontare una seconda ondata, assicurano tutti gli esperti, non sarà mai come la prima perché ora sia dal punto di vista terapeutico sia da quello organizzativo siamo molto più preparati.

In questo senso appare utile l'analisi su come i diversi sistemi sanitari hanno affrontato l'epidemia condotta da Eduardo Missoni, professore di Global Health and Development presso la Bocconi e fellow del Covid Crisis Lab. Sono stati messi a punto 10 studi qualitativi che hanno valutato l'impatto del COvid sulla popolazione in relazione al modo nel quale il coronavirus è stato fronteggiato dai sistemi sanitari.

Le pubblicazioni sono il risultato della collaborazione multidisciplinare di ex studenti di tre diverse Università: Bocconi, Università degli Studi di Brescia (Facoltà di Medicina e Chirurgia) e Università Milano-Bicocca (Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale). «Da parte italiana, abbiamo voluto condividere a livello internazionale come l'epidemia abbia messo in luce alcune debolezze di un sistema considerato uno dei migliori al mondo - ha spiegato Missoni - Quello che dovremmo imparare da Covid-19 è l'importanza di un indirizzo centrale per il servizio sanitario nazionale. Abbiamo scoperto che i sistemi sanitari in generale si trovano in difficoltà quando hanno un basso livello di assistenza primaria e subiscono le conseguenze dei tagli alle risorse finanziarie e umane e delle privatizzazioni».

Le Regioni italiane non hanno fatto le stesse scelte e quello della frammentazione viene valutato come un problema dallo studio che poi mette a confronto le diverse strategie adottate dalla Lombardia e dal Veneto, evidenziando una volta di più che quelle del Veneto sono state scelte vincenti rispetto ad esempio alle modalità di screening.

La Regione Lombardia si è concentrata principalmente sui test ai casi sintomatici e ha investito meno nell'assistenza territoriale, mentre il Veneto ha praticato tamponi a una popolazione ampia, compresi i casi asintomatici e paucisintomatici, riuscendo a contenere meglio la diffusione del coronavirus.

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