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"È ora di dirlo: il sistema non regge"

L'esperto: "Si dovrà mettere mano alla previdenza, ma il problema è la denatalità"

"È ora di dirlo: il sistema non regge"

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"È ora di dirlo: il sistema non regge"

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Giuliano Cazzola, ex sindacalista ed ex parlamentare, il sistema pensionistico resta un nodo per tutti i governi. Cosa ci aspetta?

«L'interesse primario è la tenuta del sistema. Purtroppo la logica che ha prevalso fino ad ora è quella del prendi i soldi e scappa. Anche perché le pensioni riscosse oggi saranno pagate dai contribuenti di domani. Lei si immagina come sarà contento un giovane di versare un terzo della sua retribuzione per pagare la pensione di persone che sono in uscita dal lavoro intorno ai 60 anni, che riscuotono la pensione per più di vent'anni, quando per i giovani tutto questo sarà precluso. Lo scenario non promette magnifiche sorti e progressive. Finalmente ci stiamo accorgendo che, prima ancora di un problema di sostenibilità finanziaria, ce ne è uno drammatico di demografia».

La denatalità?

«Nei prossimi anni aumenteranno i pensionati appartenenti a coorti numerose - nel 1964 nacquero 1,1 milione di bambini - che hanno avuto storie lavorative lunghe e stabili che consentono il pensionamento, mentre la platea col passare del tempo va a diminuire, per il banale motivo che non sono nati i contribuenti: nel 2022 solo 390 mila nascite».

Il disegno di legge di Bilancio contiene una stretta sui requisiti per le uscite anticipate. Salvini chiede correzioni rispetto a una possibile Quota 104 (63 anni d'età e 41 di contributi). Qual è il punto di caduta realistico?

«Il regime delle quote ha preso la mano al legislatore, è divenuto una sorta di labirinto da cui non riesce ad uscire. Adottato per ritardare l'applicazione della Fornero, ha finito per rendere più difficile l'accesso al pensionamento. Il motivo è banale. Il sistema infatti è tutt'altro che flessibile, perché i due parametri (anagrafico e contributivo, ndr) non vanno sommati ma realizzati entrambi. Ed era illusorio pensare che si verificassero nel medesimo tempo. Nella maggioranza dei casi è capitato che quanti avevano maturato 38 anni di versamenti non avessero ancora compiuto 62 di età o che i 62enni non potessero ancora far valere 38 anni di contribuzione. È evidente che se si deve continuare a lavorare per maturare uno dei requisiti, si incrementa anche l'altro. Con l'incremento dei parametri delle quote questa contraddizione si è allargata».

Con che conseguenze?

«Si è rivelato funesto il salto da quota 102 a quota 103. Nel passaggio tra le due quote, chi nel 2022 non aveva maturato il requisito di 38 anni pur con 64 anni, si è trovato ad affrontare un nuovo scalone. Tant'è che sono stati maggiori i pensionamenti ottenuti coi requisiti ordinari di quelli che hanno usufruito delle quote. Se Salvini non vuole quota 104 ha solo una via: rinunciare a quota 41».

La spesa è salita a 322 miliardi, dati Inps. Una riforma strutturale è possibile?

«Era stata fatta dal governo Monti, ma mai entrata pienamente in vigore. Nel 2019 il governo giallo-verde si è inventato due misure che ne hanno determinato la paralisi temporanea: quota 100 e il blocco fino a tutto il 2026 dell'adeguamento automatico dei requisiti all'incremento dell'attesa di vita. Ora il governo ha limitato il blocco solo al 2024. Si sta tornando all'impianto Fornero anche se le ferite hanno lasciato il segno».

Si parla sempre dei giovani per cui la pensione rischia di essere un miraggio. Ma vale anche per chi è già da tempo nel mercato del lavoro?

«La parte contributiva cresce se si lavora più a lungo altrimenti è penalizzata. L'anticipo del pensionamento ha provocato solo danni. In Italia un lavoratore maschio residente al Nord va in pensione anticipata sui 60 anni, magari con un importo minore di quello a regime. A 80 anni si trova in difficoltà perché la sua pensione ha perso di valore».

Come se ne esce?

«Essenziale che si resti più a lungo in attività. Lo chiede anche il fabbisogno del mercato del lavoro. Per andare oltre la Fornero bisogna riparare l'edificio dagli effetti delle devastazioni. E introdurre una prestazione di solidarietà infragenerazionale come è oggi l'integrazione al minimo».

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