
I dazi al 30% avrebbero un impatto economico di 37,5 miliardi, se fossero al 20% di 27,6 miliardi, al 15% di 22,6 miliardi e infine al 10% di 17,6 miliardi. A dare i numeri è stato ieri il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini (in foto), in occasione di un convegno alla Camera. Secondo Orsini, l'Europa deve darsi una mossa, "una svegliata" e non si può parlare solo di dazi ma del costo dell'euro e dei dazi. "Agli effetti delle eventuali tariffe Usa al 30% che varrebbero per l'Italia 37,5 miliardi dobbiamo sommare il peso del cambio dell'euro sul dollaro il cui costo è del 13%, arriveremmo così al 43 per cento. Per noi il cambio è già un dazio" ha aggiunto il rappresentante degli industriali. Che sempre ieri ha avuto un colloquio al Nazareno con la segretaria del Pd, Elly Schlein, su dazi e politiche industriali.
Intanto, secondo l'ultimo rapporto dell'Ice oltre 6mila imprese italiane, con più di 140mila addetti, sono esposte in modo diretto a rischi potenziali elevati di fronte alla svolta protezionistica dell'amministrazione Usa. I settori maggiormente esposti sono l'industria delle bevande, la fabbricazione di prodotti in metallo, la farmaceutica, i mobili, il commercio al dettaglio, gli altri mezzi di trasporto. Queste imprese esportano verso gli Stati Uniti oltre 11 miliardi di euro di beni Made in Italy. Sullo sfondo, vanno avanti ad oltranza le trattative tra le due sponde dell'Atlantico. Il commissario Ue per il Commercio, Maros Sefcovic, ieri è volato a Washington per un nuovo round di colloqui con le sue controparti statunitensi.
Secondo alcune fonti, la Ue sarebbe favorevole a un approccio settoriale e asimmetrico nei negoziati commerciali con gli Stati Uniti, ispirandosi al cosiddetto lobster deal. Ovvero l'accordo bilaterale del 2020, in cui la Ue azzerò i dazi sulle aragoste americane, ottenendo in cambio il dimezzamento delle tariffe praticate dagli Usa su una serie di prodotti europei.