Cronaca giudiziaria

Pamela, la madre in aula con le foto choc

"Questa è mia figlia fatta a pezzi". Sfiorata la rissa con Oseghale, udienza rinviata

Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, mentre mostra una foto dei resti della figlia
Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, mentre mostra una foto dei resti della figlia

Una maglietta con le foto della figlia fatta a pezzi. Sfiorata la rissa all'appello bis per Innocent Oseghale quando l'imputato si scontra con la mamma della vittima, Alessandra Verni, all'uscita del Tribunale di Perugia. L'uomo, 33 anni, già condannato all'ergastolo in primo e secondo grado per l'omicidio di Pamela Mastropietro nel 2018, è alla sbarra per la sola accusa di stupro. Mancano però due testimoni e l'udienza viene rinviata al 22 febbraio.

Quando il presidente della Corte chiede al nigeriano se parteciperà all'udienza, la donna esplode: «Adesso si viene a chiedere anche a un carnefice se vuole essere all'udienza oppure no. Mettiamogli pure un tappeto rosso». Immediata la reazione di Oseghale: «Basta oppressione giudiziaria». «Dimmi che vuoi» gli chiede la donna. E scoppia la bagarre con i parenti e amici della ragazza uccisa, smorzata dalla polizia penitenziaria. «Non si doveva arrivare a questo appello bis - dice Marco Valerio Verni, zio della vittima e legale della famiglia -. Mettere ancora in discussione la violenza sessuale, dopo che due Corti nel merito l'hanno dichiarata sussistente, è clamoroso. Pamela è stata uccisa a coltellate, divisa in parti, decapitata, scuoiata, esanguata, scarnificata, asportata di tutti i suoi organi interni, lavata con la candeggina con particolare cura, addirittura dentro la cervice uterina, per cosa se non per nascondere la violenza sessuale? Come si fa a dubitarne? È normale che poi la madre, esasperata, arrivi a mostrare come è stata ridotta sua figlia, una ragazza di 18 anni. Invece di andare avanti nella ricerca di eventuali complici di Oseghale si mette in discussione la violenza sessuale movente dell'omicidio». «Da cinque anni chiedo giustizia - spiega Alessandra Verni -. Ergastolo per chi fa queste cose. Oseghale e i suoi complici devono pagare. Non si può accettare che dei carnefici girino indisturbati».

È il 31 gennaio 2018. Un passante vede due trolley in un fossato vicino Macerata. Dentro il corpo fatto a pezzi di una ragazza. È ciò che resta di Pamela, allontanata da una comunità di recupero a Corridonia. La giovane, borderline ed eroinomane, conosce il nigeriano ai Giardini Diaz. Lei cerca droga, lui la spaccia. Nel suo appartamento di via Spalato gli investigatori trovano il sangue di Pamela. Accusato di stupro, omicidio volontario, distruzione e occultamento di cadavere, lo straniero si difende: «Abbiamo fatto sesso poi è andata in overdose». Per l'autopsia lo smembramento del corpo inizia quando Pamela è ancora in vita. A inchiodarlo il suo Dna rinvenuto sulle mani e sotto le unghie della vittima nonostante il lavaggio chimico. C'è poi la testimonianza del suo compagno di cella, l'ex boss Vincenzo Marino.

L'uomo racconta particolari che può conoscere solo Oseghale.

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