Parisi tenta i 5 Stelle, Sala prova mettere insieme le tessere del suo puzzle. A cinque giorni dal ballottaggio, i due manager che si contendono Milano affrontano con strategie diverse l'incognita decisiva: come si conquista il voto degli altri partiti?
Il candidato del centrodestra tira dritto per la sua strada e si gioca la carta dell'entusiasmo. Esclude patti o apparentamenti elettorali, garantisce che non cambierà una virgola del suo programma, punta tutta sull'onda lunga che lo ha visto rimontare fino al sostanziale pareggio del primo turno. Il candidato del Pd, al contrario, si è lanciato nell'operazione opposta: stringere accordi, aggiungere altre tessere al delicato mosaico dei suoi sostenitori, coinvolgere altri pezzi di ceto politico e società civile. Priorità per entrambi, l'opinione di quei milanesi (uno su dieci) che una settimana fa ha scelto il candidato grillino Gianluca Corrado. Dopo le aperture dei giorni scorsi e l'intervista (critica con Sala) rilasciata dal consigliere regionale 5 Stelle Stefano Buffagni al Giornale, ieri Parisi (a Un giorno da pecora) ha parlato ancora del Movimento, auspicando che i 5 Stelle si misurino «finalmente con il governo di una grande città». «È giusto - ha detto - perché così si possono mostrare non solo come forza anti-politica». «Chi vota 5 stelle vuole cambiare, vuole più legalità, più trasparenza, ed è stufo della politica così come è» ha spiegato, escludendo qualsiasi paura per una possibile vittoria della candidata romana Virginia Raggi. Ieri, poi, affiancato da Gabriele Albertini, ha annunciato che riproporrà la collaborazione che l'allora sindaco (Parisi era direttore generale del Comune) aveva stretto con la Procura. Era il cosiddetto «modello Alì Babà» e valse a quella giunta un invidiabile «percorso netto», in un'era di grandi investimenti. Oggi viene ripreso: «Ci sembra più opportuno lavorare con un capo procuratore di Milano e non con un ex pm» ha detto Parisi. Chiara risposta a Sala, che ha voluto coinvolgere (con l'annuncio di un incarico di controllo) l'ex pm Gherardo Colombo. Ma Sala ha lanciato altri tre nomi di futuri collaboratori: il dj Linus, l'ex candidato governatore Pd Umberto Ambrosoli e l'ex ministro degli Esteri Emma Bonino, all'indomani dello strano accordo coi Radicali (che non fanno passi indietro sul ricorso anti-Sala, ma lo appoggiano in funzione anti-Lega). Con tutto questo agitarsi, però, Sala rischia di fare danni. Una critica sugli esordi di Parisi (da tecnico) a Palazzo Chigi, ha fatto arrabbiare per esempio un bel po' di ex socialisti. E l'impressione è che il disperato inseguimento di tutto e tutti sia deleterio: non gli procura nuove simpatie a sinistra e gli fa perdere al centro. Nei sogni del Pd i moderati dovevano innamorarsi di lui, la realtà è che Sala non è mai stato in grado di sedurli.
Parisi,
invece, ha incassato la telefonata del ministro Maria Elena Boschi: «Ha fatto una serie di gaffe abbastanza importanti avvicinando la mia candidatura al volto di Hitler - ha spiegato Parisi - poi mi ha chiamato per scusarsi».
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