Passa la riforma, le mani del premier sulla Rai

Più poteri all'amministratore delegato che sarà nominato direttamente dal governo. L'ira delle opposizioni

Roma Dopo una lunga navetta tra le Camere e vari tentativi di voto abortiti nei giorni scorsi per le assenze nella maggioranza, ieri il Senato ce l'ha fatta: la riforma della Rai voluta da Matteo Renzi è diventata legge.Con la sua entrata in vigore, la governance della tv pubblica cambia radicalmente: il direttore generale, di nomina governativa, si trasforma in amministratore delegato, con poteri più incisivi e grande autonomia nella gestione economica. Resta in carica per tre anni e può essere revocato dal Cda. Può nominare i dirigenti, ma per le nomine editoriali deve avere il parere del Cda. Assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori; può firmare contratti fino a 10 milioni di euro. I componenti del Cda da nove diventano sette: quattro scelti dal Parlamento, due dal governo e uno designato dall'assemblea dei dipendenti. «La Rai diventa un'azienda più moderna, più efficiente e trasparente», esulta il sottosegretario alle Comunicazioni Giacomelli. Ma le opposizioni insorgono: «Renzi va avanti di strappo in strappo.

Con la normalizzazione della Tv di Stato, compie un altro passo verso il controllo assoluto da parte dell'esecutivo dell'informazione pubblica», dice il capogruppo di Fi Romani. La Fnsi e l'Usigrai, potente sindacato interno ostile a ogni riforma, si lagnano: «C'è il concreto rischio di scivolare ancora più in basso nelle classifiche sulla libertà di informazione».

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