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"Il Pd parla solo ai giovani: non basta per vincere"

Il politologo della Luiss: "L'elettorato che va a votare non pensa ai diritti o all'ambientalismo, ma al lavoro"

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«Parlare solo ai giovani? Non basta per vincere». Ne è convinto Lorenzo Castellani, docente di storia delle istituzioni politiche alla Luiss di Roma che ci spiega come la strategia di Elly Schlein di puntare tutto sui temi come diritti civili e ambiente, non si traduca in vittorie alle urne.

Professore, la Schlein continua a puntare sui diritti civili per attirare il voto dei giovani. Basta per vincere?

«No, non basta. La Schlein ha un cavallo di battaglia, ha una sorta di bandiera per cercare di riunire il suo elettorato. Il problema è che gran parte dell'elettorato che lei dovrebbe conquistare per crescere, non ha tutta questa sensibilità nei confronti dei diritti civili. Una linea così progressista non conquista tutti. Inoltre la maggioranza dell'elettorato ha esigenze esistenziali, alimentari, di sopravvivenza e di vita. E dà priorità a questi temi».

L'Italia è un Paese anziano. Perché il Pd si scorda sempre dell'unica fetta di elettorato che va a votare?

«Il Pd si scorda della parte anziana del Paese così come quella delle province. Il suo obiettivo, che si sposa con il giovanilismo, è quello di fare pedagogia, di influenzare il sistema di valori e di pensiero delle persone. È la vecchia idea dell'egemonia gramsciana. Questo può essere fatto in maniera movimentista, meglio sulle nuove generazioni. Così l'idea di progresso non include anziani e parti remote del Paese».

Se l'obiettivo è attirare il voto dei precari perché non si focalizza sui temi del lavoro?

«Perché questo significherebbe cambiare le idee nelle quali Schlein è fossilizzata. Significherebbe accettare che i lavoratori, più che col sindacato, cerchino rapporti diretti con i datori di lavoro. Che le partite Iva guardino più alla riduzione fiscale. Significherebbe capire che l'ambientalismo ideologico danneggia chi ha una posizione precaria. Vorrebbe dire uscire dallo schematismo della sinistra radicale e sposare una linea più liberale. Cosa che la Schlein non sembra in grado di fare».

Sono temi troppo divisivi anche per i possibili alleati di coalizione?

«Dipende quale coalizione. Per il campo largo sono temi divisivi. Il Terzo Polo non può essere d'accordo su questo tipo di programma da sinistra radicale. Pd e M5S, invece, sui programmi potrebbero anche accordarsi. Il problema è che finché ci sarà poca distanza nei sondaggi e la Schlein sarà percepita come un leader debole, Conte non avrà grande interesse ad allearsi con il Pd. Conte è un politico più furbo e disposto a collaborare con la maggioranza. Il Pd ha invece una linea più integralista che lo emargina».

La Schlein ha vinto le primarie grazie al voto dei radical chic di sinistra delle cosiddette zone della Ztl. Perché il Pd non riesce più a intercettare il voto delle periferie?

«Nelle province o nelle periferie le priorità non sono i diritti civili, un'idea del mercato del lavoro ingessato e neppure l'ambientalismo ideologico. Finché il programma sarà questo le fasce di elettorato medio-basse non avranno stimoli. La proposta del Pd non cattura la loro attenzione. Il punto è che in Italia le grandi città rappresentano circa un quarto del totale degli elettori, mentre tre quarti vive in provincia o periferia».

La narrativa della Schlein non fa breccia sul voto moderato, ma conta di più questo voto o quello dei gruppettari dei centri sociali?

«Sì, perché la Schlein viene da quella cultura lì. Dalla cultura bolognese, dei centri sociali, delle associazioni, del movimentismo. Dell'idea che la sinistra, in fin dei conti, sia soltanto questa. E dall'idea che tutto ciò che sia riformismo moderato non sia fondamentale in quel progetto politico. La Schlein ha molti più alleati tra i piccoli partiti di sinistra, come Articolo Uno e ambientalisti, che non dentro il Pd.

Il problema è che questo rischia di spostare il partito troppo a sinistra, con tutte quelle ricadute del caso».

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