La Cina è lì, vicina, anche se qualche volta nei discorsi sulla guerra in Ucraina finisce ai margini, come se fosse altrove, tra gli attori non protagonisti. È il più miope degli errori di prospettiva, perché in questa drammatica avventura Pechino non solo non è neutrale, ma sta scrivendo accordi strategici con la Russia, rinnegando una diffidenza antica e quasi naturale. I nemici dell'Occidente non sono mai stati cosi vicini, neppure ai tempi di Mao, quando il comunismo cinese parlava comunque un'altra lingua rispetto a quello sovietico.
La notizia arriva direttamente da Zhang Hanhui, ambasciatore cinese a Mosca, che in un'intervista alla Tass racconta come si stanno allargando gli accordi di cooperazione. Non siamo ancora davanti a un'alleanza anti Nato, ma c'è un'intesa per collaborare sullo sviluppo della tecnologia militare. È un vantaggio reciproco. Questo significa che Cina e Russia si scambieranno informazioni sulle armi convenzionali e nucleari e su qualsiasi tipo di «guerra sporca». Lo scambio è chiaro. Putin incassa subito l'appoggio di Pechino. È un modo per far capire a Washington che non è solo, che in questa partita bisogna tenere conto delle mosse cinesi, che dietro l'accordo tecnologico si possono anche nascondere aiuti più immediati. La Cina ufficialmente non passa armi alla Russia, ma questa collaborazione serve anche a coprire il «non detto». C'è poi l'aiuto economico. Pechino rivela di aver aumentato gli scambi commerciali con Mosca e le merci, tra cui il gas e petrolio, verranno pagate in rubli, un modo per aggirare le sanzioni, rendendole molto meno efficaci. L'idea è anche quella di superare la centralità del dollaro come moneta del commercio globale. L'ambasciatore cinese non nasconde l'intenzione di ricorrere a cripto valute. Il tutto è sigillato con queste parole: «Cina e Russia sono partner strategici globali».
È così che la prospettiva si allarga e l'occhio cade su quello che sta accadendo a Taiwan. L'isola dove sopravvive l'altra Cina sente il rumore dei nemici. Proprio ieri dodici caccia e sei ricognitori hanno violato lo spazio aereo della repubblica. Non è la prima volta, ma ormai accade sempre più spesso. È il segnale che i tempi dell'invasione si accorciano e a quel punto tutto può succedere. Pechino ci tiene a precisare che qualsiasi paragone con la questione ucraina è inopportuna: «Taiwan è una questione interna».
Non sarebbe insomma un'invasione ma la riconquista di un pezzo di Cina finito in mano, nel lontano 1949, ai nazionalisti ribelli. L'isola subirà il destino di Hong Kong, dove domenica si vota, per dare una parvenza di democrazia. C'è un solo candidato e verrà eletto da 1461 funzionari del partito comunista. È lo 0,02 della popolazione.
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