In pensione più tardi: così le toghe rosse sognano il blitz su Csm e nomine di peso

Pressioni delle correnti di sinistra: alzare il limite del ritiro da 70 a 72 anni ed evitare che sia questo organo di autogoverno, moderato, a dare le carte

In pensione più tardi: così le toghe rosse sognano il blitz su Csm e nomine di peso
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È l'unica categoria di lavoratori che si batte per andare in pensione più tardi possibile: anche se si vanta di fare un lavoro usurante. Ora dall'interno della magistratura, e non è la prima volta, ripartono le pressioni sul governo perché innalzi nuovamente la soglia del pensionamento. Ma stavolta la battaglia si incrocia con calcoli personali, di cordata e di corrente. Perché la modifica della norma ridurrebbe il potere del Consiglio superiore della magistratura attualmente in carica - il primo governato da una maggioranza di centrodestra - di ridisegnare gli organigrammi della giustizia italiana. Se le cose rimangono come sono, sarà invece questo Csm a designare i capi di alcuni delle Procure e dei tribunali più importanti d'Italia.

Oggi il limite è fissato a settant'anni, ed è già il più in alto in assoluto tra tutte le categorie di dipendenti pubblici e privati. Ma a molti magistrati non basta, e chiedono che si torni al vecchio sistema, quello abolito da Matteo Renzi nel 2014 in nome del «ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni». Una rottamazione che causò proteste e crisi di identità, in una categoria che fino a quel momento poteva restare in servizio fino all'incredibile età di 75 anni. E c'era chi lo faceva davvero.

Da allora, dopo il decreto Renzi, la tagliola scatta inesorabile a 70 anni. Il giorno del settantesimo compleanno, magistrati famosi e oscuri riconsegnano tesserino e telefono e vengono inghiottiti dalla normalità. Ma nelle settimane scorse è iniziato, e sta crescendo di intensità, il tam tam di chi vuole che si torni al passato. Non ai 75, ma almeno ai settantadue anni.

La campagna a favore delle «toghe grigie» viene lanciata ufficialmente in nome dell'efficienza e dell'obbligo di rispettare gli obiettivi del Pnrr, che verrebbero messi a rischio dalle carenze di organico nonostante le massicce assunzioni di magistrati (1.400 in tutto) varate dai ministri Marta Cartabia e Carlo Nordio. Inevitabile, però, che tutto venga letto anche in un'ottica più prosaica: l'influenza che una riforma avrebbe sugli equilibri di potere all'interno della magistratura.

Se non cambia nulla, circa 300 magistrati andranno in pensione l'anno prossimo e altrettanti nel 2025. Tra questi, alcuni ricoprono posizioni di grande importanza: a partire dal primo presidente e dal procuratore generale della Cassazione, Margherita Cassano e Luigi Salvato, entrambi del 1955; e poi il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco, quello delle indagini su Renzi, o il capo dell'ufficio legislativo del ministero Antonio Mura; e poi procuratori, procuratori generali, presidenti di Corti d'appello. Tutte cariche che fanno gola. E che, se la norma dei settant'anni dovesse restare immutata, verrebbero assegnate dall'attuale Csm, dove la maggioranza di centrodestra ha già dimostrato in più occasioni (eclatante il caso della procura di Firenze) di non avere patemi a decidere compatta i propri candidati. Insomma, nei prossimi anni il Csm potrebbe ridisegnare in profondità gli equilibri della magistratura italiana.

Così, ecco che alzare l'asticella a 72 anni fa gola non solo ai tanti giudici che senza la toga addosso si sentirebbero sprecati, ma

anche a chi vuole evitare una sorta di spoil system conservatore. Se gli attuali titolari vengono prorogati di due anni si arriva a ridosso del 2027, quando entrerà in carica un nuovo Csm, magari più di sinistra. O magari no.

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