Riccardo Pelliccetti
Chi riceve la pensione vive mediamente più a lungo, ma non solo: l'aspettativa di vita aumenta ancora se si percepisce un assegno previdenziale più alto. Può sembrare banale, ma il benessere economico allunga la vita quando si esce dal mondo del lavoro e i motivi sono molteplici. Secondo uno studio sulla mortalità dei pensionati, realizzato dall'ordine degli attuari e presentato ieri a Roma nella sede dell'Inps, l'aspettativa di vita è di 83/86 anni per gli uomini e 87/90 per le donne. Nel 2045, secondo la ricerca, gli uomini che riceveranno la pensione vivranno mediamente fino a 88 anni, mentre le donne fino a 92. E poi, chi percepisce un assegno più alto avrà una mortalità più bassa. Un risultato senza sorprese, visto che le maggiori possibilità economiche consentono di avere meno preoccupazioni e stress e permettono inoltre di ricorrere a cure mediche di livello elevato.
Le categorie più avvantaggiate, secondo lo studio, sono i medici con 20,6 anni di aspettativa di vita a 65 anni (più 12,3% rispetto alla media che è di 18,3 anni), seguiti dagli avvocati (20,1 anni). I lavoratori pubblici vivono più lungo di quelli privati. Per gli uomini l'aspettativa dopo i 65 anni è di 20,3 anni rispetto ai 18,3 della popolazione generale e dei 18,4 dei lavoratori privati.
Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, parla già di interventi perequativi che avrebbero un forte impatto sul sistema pensionistico, diventando una «fonte di risparmio importante». Non si risparmierebbe infatti solo sull'importo dell'assegno ma anche sulla durata della corresponsione dell'assegno.
Ma se medici e avvocati possono essere ottimisti, una parte consistente di italiani vede un futuro tutt'altro che roseo. Il 7,6% della popolazione, circa 4 milioni e 598mila persone, vive in condizioni di «povertà assoluta». Un dato in crescita nel biennio 2014-2015, secondo i dati dell'Istat, che rileva «l'aggravarsi della condizione delle famiglie più ampie, in particolare le coppie con due figli e le famiglie di stranieri». Il rapporto evidenzia che il Mezzogiorno è l'area del Paese con i livelli di povertà più elevati, che coinvolge il 34% dei residenti, una quota tripla rispetto al Nord Italia.
Il disagio economico è legato alla difficoltà dei cittadini a entrare e restare nel mercato del lavoro: l'11,7% delle persone vive in famiglie con intensità lavorativa molto bassa, valore che sale al 20,3% nelle regioni del Mezzogiorno. Tuttavia nel 2015 si è interrotta la tendenza all'aumento che si è protratta per tutto il periodo 2009-2014. Nel Mezzogiorno il reddito medio disponibile pro-capite delle famiglie consumatrici è il 63% di quello delle famiglie residenti nel Nord.
Anche il Centro Studi di Confindustria conferma i dati dell'Istat, sottolineando che i poveri assoluti sono aumentati del 157% rispetto al 2007. Gli industriali rilevano inoltre che aumenta l'emigrazione all'estero e diminuisce la mobilità territoriale interna.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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