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Obama, supercampione ma solo nell'ego: record di fallimenti su tutti gli scacchieri

Dal Medio Oriente all'Europa all'Asia una lunga lista di flop

Obama, supercampione ma solo nell'ego: record di fallimenti su tutti gli scacchieri

L'erede di Obama in politica estera è da compiangere semplicemente perché non è Obama in persona. Il presidente che lascia la Casa Bianca è stato un formidabile protagonista, un ego ciclopico, un ciclone di energia innovativa che ha dato a tutto il suggello delle sue convinzioni, della sua retorica e della sua arroganza. Tutto quello che ha fatto nel mondo porta il segno di convinzioni progressiste e politiche così tipiche (è rimasta famosa la sua frase programmatica, letteralmente: «Non fare stupide stronzate», cioè politiche internazionali americane reattive, automatiche, sorpassate) che il suo retaggio resta lo show di un uomo solo, ingestibile, pasticciato, e nello stesso tempo tipico di un quarantenne ultra liberal: relativista, internazionalista, non violento, ecologico, multinazionale, sdegnoso della democrazia capitalista. Nella famosa intervista a Jeoffrey Goldberg sull'Atlantic, che, estatico, per pagine e pagine ci spiega la «Dottrina Obama», il misto di determinazione ideologica e di pragmatismo lascia senza fiato.

Obama ha compiuto svolte storiche, molte delle quali incompiute, e anche grandi errori che purtroppo riguardano soprattutto il nostro emisfero.

Le sue scelte sono storiche: l'idea basilare è quella di un'America non belligerante a tutti i costi. Obama vi ha proiettato la sua propria etnicità e religione, capace di conciliare tutto con sincretismo genetico. Con la Russia ha tentato un «new start» contando su Medvedev, e si è ritrovato Putin. Con Cuba ha riaperto e ha ammesso al sacro soglio Chavez e Ortega. Ha dato enorme importanza al «Pivot to Asia» per conquistare un'alleanza commerciale nel Sud-Est asiatico che resta da confermare mentre la Cina non ha smesso di fare il bullo, e la Nord Corea impazza con gli esperimenti atomici.

Ha portato a casa l'accordo di Parigi sul clima nel 2015. E poi viene il mondo islamico: Obama si è bamboleggiato con l'idea di sedurlo, dopo gli errori sulla Primavera Araba l'Iraq e la Siria sono cadute preda dell'integralismo islamico dell'Isis che Obama non si mai deciso a combattere seriamente. Obama ha anche rinunciato a fermare come promesso la smania assassina di Assad dando spazio all'asse Putin-Iran-Hezbollah-Assad che ha configurato l'espansione di un nuovo imperialismo sciita sorretto dalla Russia, con conseguente impazzimento, fuga, inasprimento della parte sunnita. Ha lasciato che la Turchia arrivasse all'estremo delle sue pulsioni ottomane. La Russia intanto si faceva sempre più sotto al naso degli Usa sgomitando per il suo spazio territoriale. L'Iran è stato gratificato da uno scivoloso trattato antinucleare che doveva diventare il maggior retaggio concreto di Obama, e parallelamente, poiché Israele si mostrava come diretto oppositore di quella scelta, Obama ha scelto di tenere a bada il suo vecchio alleato con un continuo tormento sulla questione degli insediamenti.

Intanto Obama ha scelto di non parlare mai di Islam estremo mentre il suo Paese è torturato da continui attacchi terroristi: non saranno, come dice, «un pericolo esistenziale», ma potrebbero aggravarsi molto. Il successore del «Giovane Presidente» adesso deve dare tante, troppe risposte.

Incluso il dilemma morale maggiore: con Iran, Cina, Paesi Arabi, Cuba Obama mostra di aver ignorato la questione della democrazia e dei diritti umani. Dunque, il mondo deve per sempre rinunciare al suo campione?

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