Premier in imbarazzo Ora Palazzo Chigi teme un boomerang

Il governo colto di sorpresa dall'intervento Renzi irritato: rischio strumentalizzazione

Premier in imbarazzo Ora Palazzo Chigi teme un boomerang

Nessuna reazione pubblica, com'è ovvio. Ma dagli ambienti del Pd e di Palazzo Chigi trapela un certo disagio per l'uscita dell'ambasciatore degli Stati Uniti John Phillips a supporto del sì al referendum costituzionale.

Una presa di posizione non concordata e della quale, si assicura, nessuno era stato avvertito. Lo stesso ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, presente al convegno nel corso del quale il rappresentante di Washington ha pronunciato il suo intervento (scritto), non era stato informato in anticipo. Naturalmente, non è il merito delle parole dell'ambasciatore Phillips a provocare quel «fastidio» che trapela: il diplomatico non ha fatto che ripetere in pubblico quel che tutte le cancellerie occidentali, in modo ufficioso, fanno sapere di pensare: il referendum italiano è una scadenza cui guardano con preoccupata attenzione, nel timore che una vittoria dei no e una conseguente sconfitta di Renzi provocherebbero una «destabilizzazione» dell'Italia, con i contraccolpi economici che lo stesso Phillips ha evocato. Anche Angela Merkel, del resto, nell'ultimo vertice con Renzi gli ha fatto pubblicamente gli «auguri» in vista del referendum. Il problema è «l'opportunità» di una scelta di campo così esplicita, che ha prevedibilmente scatenato le reazione indignata di mezzo mondo politico italiano contro «l'ingerenza» americana.

Un contraccolpo fastidioso, appunto, di cui il governo non sentiva la necessità. Matteo Renzi non commenta pubblicamente, ma si mostra seccato per le «strumentalizzazioni» di chi, come i Cinque Stelle, utilizza le parole del diplomatico per aprire il fuoco sull'esecutivo. E anche per come ne approfitta la minoranza Pd, che con Bersani si unisce subito al coro indignato delle opposizioni: «Del resto, nella sinistra c'è chi è pronto a far fallire le riforme e a buttare il paese in mano ai Cinque Stelle», chiosa il premier.

Che la relazione del governo con gli Stati Uniti sia «speciale» lo conferma lo stesso Gentiloni, ricordando che Obama ha invitato Renzi alla Casa Bianca per il prossimo 18 ottobre: «Un invito molto importante, perché è l'ultima visita di Stato che Obama organizzerà, prima delle elezioni». Fatto sta però che l'appoggio di Washington, in questo caso particolare, non fa felice il fronte renziano. Anzi: «Si è visto che effetto hanno fatto questo tipo di endorsement con il referendum in Gran Bretagna: hanno spinto ancora più gente a votare a favore della Brexit», commenta l'ex leader Ppi Pierluigi Castagnetti. «Se ce la risparmiava era meglio», dice brusco un alto dirigente del Nazareno. Facendo notare che «chi oggi si straccia le vesti per le ingerenze, ieri era in cerca di benedizioni da Washington». Il riferimento è sia ai grillini che a Bersani: i primi nel 2013 chiedevano udienza all'ambasciata americana di Roma per accreditarsi presso gli alleati, sprizzando gioia da ogni poro quando arrivò loro l'endorsement benevolo dell'allora ambasciatore Thorne. Una benedizione americana subito rilanciata trionfalmente dal blog di Beppe Grillo, mentre il Pd (a parti rovesciate) gridava alla «ingerenza».

Quanto a Bersani, nel 2010 l'allora segretario organizzò una missione negli Usa, allo scopo di farsi conoscere, e si ricorda ancora l'entusiasmo dei suoi portavoce per i risultati della missione: «Siamo stati al Pentagono e abbiamo incontrato il

dirigente del dipartimento europeo e parlato della situazione in Afghanistan e di come Obama intende gestire l'exit strategy. Poi, uscendo, abbiamo fatto la pipì», rivelò via Facebook Chiara Geloni. L'America è sempre l'America.

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