Ricordatevi di Cencelli. Fare i conti senza il «manuale» messo a punto dal mitico segretario del dc Sarti, in politica è come andare a scuola senza abecedario. Vero che l'avvento della nuova generazione gialloverde sta facendo saltare molte regole base di grammatica istituzionale (vuoi per inesperienza, vuoi per rozzezza, vuoi per calcolo), però pesi e contrappesi sono il succo di un'avveduta gestione del potere. Risolto perciò il braccio di ferro sulla premiership, con Luigi Di Maio che conta sulla sponda del Colle e Salvini che le prova tutte per scongiurarlo, si passerà alla fase due. «Su questo sarete aggiornati nelle prossime ore, da lunedì spero di essere qui a parlare di che cosa fa il governo», confermava ieri Salvini dopo aver ottenuto «mandato pieno» dal Consiglio federale leghista. Il Carroccio non accetta l'invito a «tornare a casa» rivoltogli dal Cav e ha oltrepassato il Rubicone. D'altronde, osservava sconsolato il pidino Giacomelli, «si sono spinti troppo avanti per tornare indietro, e non credo sarà un governo breve».
Pesi e contrappesi, dunque. Partendo dalla comune volontà di ridurre al minimo i ministeri con portafoglio. Il numero «magico» dovrebbe essere 13 e non si sa se porta bene. Qualora la presidenza del consiglio andasse a Di Maio, la contropartita per la Lega si concretizzerebbe in almeno sei ministeri, molti dei quali di «fascia A». Nell'ipotesi che i leghisti cercando di affermare, cioé l'arrivo di Emilio Carelli a Palazzo Chigi (non sgradito neppure a Berlusconi), il Carroccio perderebbe alcune postazioni-chiave. Al momento le bandierine già disposte da Salvini riguardano l'Interno (per sé stesso), l'Agricoltura (Nicola Molteni), l'Ambiente (Lucia Borgonzoni), lo Sviluppo economico (Claudio Borghi, le cui quotazioni sono un po' in calo dopo le avventate esternazioni su Mps). L'Economia, perciò, toccherebbe a un 5S, visto che a Giancarlo Giorgetti, di gran lunga il più esperto e competente dell'intera squadra, dovrebbe essere una specie di «premier-ombra»: sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega ai Servizi. Se in via XX settembre andrà un grillino, favorito è Andrea Roventini. Senonché alcune sue improvvide dichiarazioni contrarie alla flat tax (la definì «fake tax») facendo risalire la parabola di Lorenzo Fioramonti, il professore all'Università di Pretoria predestinato al Mise nel governo elettorale di Di Maio. La presenza di due leghisti di peso, come Giorgetti e Borghi, eviterebbe salti nel vuoto da parte di un debuttante che, almeno, sa di macroeconomia.
Altre due poltrone di peso sarebbero appannaggio dei 5stelle: gli Affari esteri (per Di Maio se non sarà premier, altrimenti per il navigato Giampiero Massolo), il Lavoro per Pasquale Tridico, i Trasporti, Infrastrutture e Telecomunicazioni (Carelli se non dovesse arrivare a Palazzo Chigi). Alla Salute, cui verrebbero aggiunte le deleghe per la Famiglia e l'Infanzia, Vincenzo Spadafora.
La Giustizia è in bilico: se la spuntano i leghisti c'è pronta Giulia Bongiorno (in alternativa Molteni); se i grillini Alfonso Bonafede. Beni culturali quasi certi al leghista Gianmarco Centinaio; Istruzione alla grillina Laura Castelli (in alternativa, Giuseppe Conte). Quotazioni stabili per Umberto Rapetto alla Difesa, nome gradito a entrambi.
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