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"Il presidenzialismo non è il diavolo. Non prevalgano motivi ideologici"

Il costituzionalista: "In Italia le riforme altrui sono sempre cattive"

"Il presidenzialismo non è il diavolo. Non prevalgano motivi ideologici"

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Il professor Michele Ainis, costituzionalista e scrittore, ha appena dato alle stampe «Capocrazia, se il presidenzialismo ci manderà all'inferno», edito da La Nave di Teseo. Un testo che assume centralità anche per via della fase politica attuale, che prevede alcuni cambiamenti strutturali delle nostre istituzioni e che racconta come sono fatti i sistemi presidenziali.

Professore, il presidenzialismo è il diavolo?

«No, non è il diavolo. E non è neppure il fascismo. Perché la più antica democrazia del mondo, cioè quella Usa, si regge su un sistema presidenziale. Così come quello francese. Il diavolo è lo sfascismo, cioè un sistema incoerente che può creare dei danni. Il presidenzialismo in sé però non può essere messo in discussione per motivi ideologici. E vorrei aggiungere che con il premierato abbiamo a che fare con una forma di presidenzialismo, perché per presidenzialismo si intende consentire agli elettori di eleggere direttamente chi li governa. E chi li governa può essere il presidente della Repubblica come accade in Francia e in Usa o il premier come accadrebbe in Italia».

Ma perché a sinistra hanno così paura del presidenzialismo?

«Mi pare che anche l'ultima commissione bicamerale, quella presieduta da Massimo D'Alema, avesse avanzato la proposta del di eleggere direttamente il premier. La sinistra su questo punto ha fatto tutto un percorso. Poi perché storicamente le riforme degli altri sono sempre cattive riforme. C'è un argomento che ha una sua sostanza, e cioè che bisogna trovare sistemi che uniscano e che non dividano».

La riforma della Meloni non comporterà l'elezione diretta del presidente della Repubblica.

«Sì, per due ragioni. In primis perché con questa soluzione c'è la possibilità di coinvolgere almeno un pezzo dell'opposizione che si è detta favorevole, Italia viva. Ma c'è anche un altro motivo: Sergio Mattarella è il politico più popolare d'Italia. E sarebbe difficile in questo momento storico provare a modificare l'assetto. Biden e Macron, per capirci, non hanno un Sergio Mattarella».

Lei è sempre un sostenitore della necessità di riformare i partiti?

«Sì, e penso che una riforma seria in materia non possa che prevedere la democrazia diretta interna alle formazioni politiche. Oggi, a causa della legge elettorale, i parlamentari si sono trasformati in maggiordomi piazzati in questo o in quel collegio dal loro capo politico. Questo per via delle liste bloccate. Per una riforma strutturale servirebbe anche una nuova legge elettorale».

Quindi è il Rosatellum che compromette il nostro sistema partitico?

«La Corte costituzionale si è espressa contro le liste bloccate lunghe. A mio parere, avrebbe dovuto esprimersi con maggiore intraprendenza. C'è pure il tema delle doppie candidature tra collegi uninominali e proporzionale. Così, chi non viene eletto in una competizione, può essere eletto nell'altra.

In questo modo, i partiti hanno assunto le fattezze di formazioni non più personali ma imperiali».

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