Il pressing ostinato di Trump per l'intesa che vale un Nobel

Il presidente Usa è entrato di prepotenza nella trattativa su Gaza. Duro e diplomatico sia con l'alleato Israele sia con il mondo arabo e islamico

Il pressing ostinato di Trump per l'intesa che vale un Nobel
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Ce la sta mettendo tutta, per la pace nella Striscia di Gaza e per il Nobel per la pace per sé. Muovendosi ancora una volta un po' da politico e un po' da immobiliarista, pur di portare a casa il risultato. Trump è entrato di prepotenza nella trattativa sul futuro della Striscia. Con risultati, finora parziali, ma fin qui insperati.

È riuscito a convincere Netanyahu che per uscire dall'isolamento internazionale e mettere Hamas con le spalle al muro fosse necessario stilare un piano di più ampio respiro, ridare una base concreta ma di lungo termine alla trattativa, per poi imporre un cambio di prospettiva e tornare a puntare i riflettori su Hamas. Se la guerra riprenderà è perché il gruppo palestinese ha detto no al rilascio degli ostaggi e a una possibilità "storica". Se la guerra finirà è perché lui - The Donald - è riuscito a trovare la mediazione risolutiva tra due nemici che da due anni non vogliono neanche sedere allo stesso tavolo. "Hamas sta accettando cose molto importanti", dice ai giornalisti nello Studio Ovale, affermando che ci sarà presto un accordo e che con Netanyahu non c'è stata nessuna tensione. L'immobiliarista prestato alla politica sta usando le sue armi migliori per riuscire nell'impresa. Numero uno: ottimismo. Crederci anche quando il negoziato sembra impossibile. "Non so perché sei sempre così fottutamente negativo" pare abbia detto a Netanyahu nella telefonata intercorsa dopo il sì condizionato di Hamas al piano per Gaza. "Bibi, è la tua chance per la vittoria". E in effetti questa per Netanyahu potrebbe essere davvero l'occasione per uscire dall'angolo diplomatico in cui la guerra lo ha costretto. Arma numero due: diplomazia e ultimatum, alleanze e maniere forti. All'alleato Netanyahu ha chiesto di fermare i raid durante i negoziati e ha chiesto di scusarsi con il Qatar per il raid contro Hamas a Doha. È riuscito a far digerire al primo ministro israeliano l'indigeribile, pur di ricucire lui stesso con il Paese del Golfo, irritato e sospettoso con gli Usa per l'attacco, e pur di riportare Doha al tavolo della trattativa come mediatore. Al tempo stesso, si è mostrato inflessibile sui tempi e le condizioni a Hamas. I negoziati dovranno essere brevi, la priorità è la restituzione degli ostaggi e se l'esito non sarà favorevole la guerra ripartirà più dura di prima. Eppure, nonostante le rigide condizioni, Trump è riuscito a imbarcare nella tentata impresa di fermare la guerra anche la Turchia di Erdogan (che da mesi accusa Netanyahu di essere il nuovo Hitler) e i Paesi arabi e islamici, consapevole che senza il loro contributo e sostegno non ci potrà essere un futuro di pace in Medioriente. Il leader americano non ha mancato inoltre di adottare una terza strategia: il pragmatismo. Dopo le dure critiche al progetto Gaza Riviera e alla prospettiva di deportazione forzata dei civili palestinesi, il capo della Casa Bianca non ha ignorato né la crisi umanitaria, né le piazze né il malcontento crescente fra gli ebrei americani. Secondo il Washington Post, i 61% degli ebrei statunitensi pensa che Israele abbia commesso crimini di guerra nella Striscia. Per il 39% Israele è colpevole di genocidio e il 68% esprime giudizi negativi sulla leadership di Netanyahu. La decisione di impegnare Tel Aviv, con la promessa che non occuperà e non annetterà Gaza una volta firmata la pace, è un segnale che - con la fine del conflitto - anche gli Stati Uniti si impegneranno a impedire la realizzazione dei piani più estremisti della destra ultrareligiosa oggi alleata di governo di Bibi. La promessa che "nessuno sarà costretto a lasciare Gaza e coloro che lo desiderano saranno liberi di farlo e di tornare" e inoltre che "incoraggeremo le persone a rimanere e offriremo loro l'opportunità di costruire una Gaza migliore", dimostra che Trump ha capito il messaggio, anche quello dell'opinione pubblica internazionale. I palestinesi non potranno essere deportati contro la loro volontà. La Striscia "sarà riqualificata a beneficio della popolazione, "che ha sofferto più che abbastanza", ma dovrà anche essere "deradicalizzata e libera dal terrorismo", perché non rappresenti più una minaccia per i suoi vicini. Buon senso. Per una scommessa che Trump spera di vincere.

Senza abbandonare Israele, storico alleato, ma senza inimicarsi i Paesi arabi e islamici, indispensabili per uno stop duraturo del conflitto. L'esito non è affatto scontato. Ma l'obiettivo è nobile e astuto al tempo stesso: la pace per Gaza e il Nobel per la Pace per sé.

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