Politica

«Primi sintomi di un'infezione sociale E la paura si diffonde nei nuovi media»

Lo psicologo: «La suggestione di massa si basa sull'imitazione anche di comportamenti irrazionali. E poi nasce il pregiudizio automatico»

Enza Cusmai

Professor Giuseppe Pantaleo, Ordinario di Psicologia sociale e Direttore di UniSR-Social.Lab, il laboratorio di psicologia sociale della Facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano: il coronavirus sta creando una psicosi collettiva?

«No, guardi la psicosi è una cosa drammaticamente seria. In questo momento direi che siamo dinnanzi a dei focolai di contagio sociale».

Dove si annida questa forma di contagio?

«Soprattutto sui social. La notizia del coronavirus è diventata virale. Ci sono migliaia di tweet, uno fa eco all'altro ed esplode la paura».

Si segue come un gregge chi fa allarmismo?

«Esatto. Se per esempio, si segue un blog e una persona qualsiasi esprime un commento improntato alla paura, un'altra persona gli fa eco e alza la posta. Così si crea una spirale che non fa bene a nessuno. State dunque molto attenti a quello che scrivete sui social soprattutto se trattate materie di cui non siete degli esperti».

Come si spiega questo fenomeno?

«Succede soprattutto alle persone che hanno poco bagaglio culturale. Chi ha più esperienza di vita ha più anticorpi di tipo sociale. Ma il fenomeno di contagio sociale esiste e mi ricorda Gustave Le Bon che studiava nell'800 la psicologia della folla: ad un certo punto impazzisce facendosi contagiare anche da leader improvvisati. È sufficiente che una persona con un certo carisma esprima un'opinione calcando i toni e la folla la copia».

Al di là della folla del web qui c'è gente che fa la corsa in farmacia a comprare la mascherina. A Malpensa come a Napoli.

«È sempre contagio sociale ma questa volta c'è una folla reale che si lascia prendere dalla paura. E porta l'imitazione di comportamenti anche irrazionali come comprare la mascherina anche se non deve viaggiare. A Milano sarebbe irrazionale indossare la mascherina. Ma se un milanese gira con la mascherina fa scattare in molti la voglia di indossarla perché hanno paura. Ed ecco che si attiva il contagio sociale alimentato dalla paura».

Molti ormai guardano con diffidenza i cinesi che vivono nelle nostre città. Che succede, siamo diventati razzisti?

«No, in questo preciso momento è normale un'associazione automatica tra persona cinese uguale coronavirus, si chiama tecnicamente pregiudizio automatico. Il volto di un cinese lo assoceremo al coronavirus per un po', anche quando questo periodo sarà passato. Ci vorrà tempo per scrollarsi quella sensazione di dosso».

Come si possono dominare questi impulsi?

«È il momento di usare il buon senso, il cervello per resistere a impulsi imitativi irrazionali».

La colpa è anche di una mancanza di informazioni adeguate?

«Purtroppo ci si affida al commento del vicino e non al giudizio di un esperto. Bisogna leggere ciò che dicono gli addetti ai lavori che in questo caso sono i virologi, gli epidemiologi e i responsabili della Sanità.

Solo così possiamo evitare che un fenomeno di contagio sociale si trasformi in psicosi collettiva».

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