La Procura ricorre: «No ai domiciliari, la Franzoni deve stare in cella»

La Procura ricorre: «No ai domiciliari, la Franzoni deve stare in cella»

Da poco più di due settimane è tornata a casa, non quella di Cogne, ma a Santa Cristina di Ripoli, mini borgo sull'Appennino bolognese dove dovrebbe finire di scontare la pena agli arresti domiciliari: circa dieci anni. Ma per Anna Maria Franzoni, che tenta di riconquistare una normalità di vita, lontano da riflettori e polemiche, non c'è pace. La Procura generale di Bologna ha, infatti, presentato ricorso contro l'ordinanza con cui il tribunale della sorveglianza le ha concesso la detenzione domiciliare. Condannata a 16 anni per l'omicidio del figlioletto Samuele avvenuto a Cogne nel gennaio 2002, la donna, dopo la decisione dei magistrati, era uscita di cella il 26 giugno scorso per scontare il resto della pena nell'abitazione di Ripoli, dove vivono il marito Stefano Lorenzi ed i due figli.
A quanto si apprende, nei motivi del ricorso la Procura generale sottolinea il fatto che la psicoterapia prescritta per Franzoni (e ritenuta dai giudici uno degli strumenti che consentono di contenere la pericolosità sociale della donna) può proseguire anche in carcere. Inoltre nel ricorso si sostiene che la detenzione domiciliare speciale non possa essere concessa per chi ha figli con età superiore ai 10 anni, come nel caso del figlio minore di Franzoni, nato dopo l'omicdio di Samuele, che oggi ne ha undici.
Annamaria Franzoni ha il permesso del tribunale di uscire alcune ore al giorno.

Non sempre lo fa, ma spesso ne approfitta per passeggiare per il paese, dal quale a volte si allontana, per seguire proprio quelle sedute di psicoterapia che le sono state ordinate.
Ora, dopo il ricorso, si attende la decisione della Cassazione.

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