Roma - «Votantonio, votantonio, votantonio». Le parole in bianco e nero di Totò in versione elettorale sono roba vecchia. Nell'era dei social network «condividi» ha preso il posto del vecchio «vota e fai votare». Il termine ricorre ossessivamente nella miriade di pagine Facebook che fanno da megafono al Grillo-pensiero. Matteo Renzi prova a recuperare il ritardo ma la cosa peggiore per un abile comunicatore come lui, è che lo fa scopiazzando Beppe. Così non solo finisce a imitare la strategia della fabbrica delle «fake news» cui l'intellighenzia Pd inorridita aveva dichiarato guerra, arrivando a evocare una legge di censura preventiva. Ma in più, eleva Beppe a maestro a cui ispirarsi.
E l'allievo Renzi ne ha di strada da fare. Il lancio di «Bob», un software che dovrebbe permettere agli elettori del Pd di interagire con il partito, alla maniera del «Rousseau» di Casaleggio, ha dovuto rinviare il lancio per problemi tecnici. Per ora c'è solo un'app per telefonini piuttosto tristanzuola. L'Espresso l'ha provata incappando in continui blocchi, italiano zoppicante, frasi illeggibili, interattività prossima allo zero. Insomma per ora gli elettori tacciono, a parlare sono solo gli apparatchik del Pd, uno al giorno, impegnati a fare una rassegna stampa mattutina intitolata «Ore Nove». La tanto criticata «democrazia del clic», e pure copiata male. E pensare che pochi mesi fa era Renzi a ripetere che «noi facciamo ascolto dal basso mica click come fa qualcuno».
Ma la vera vetta del copiato-male renziano la raggiunge la pagina Facebook «Matteo Renzi News», in perfetto stile grillino: fotomontaggi e video provocatori su cui sono impressi slogan a prova di imbecille scritti a caratteri cubitali: il classico «Vergogna», il manettaro «#5stelle2morali» riferito a Virginia Raggi che non si dimetterebbe se indagata. Insomma i classici temi per cui i renziani, giustamente, criticavano i Cinque stelle. Con l'aggiunta di un certo numero di gaffe. Come l'accostamento fotomontato tra Renzi e Totti «Due grandi capitani» (che può far perdere un milione di voti romanisti) o l'accostamento col Papa che aveva «scomunicato» il reddito di cittadinanza. Due scivoloni che violano palesemente il vecchio ma sempre valido adagio «scherza con i fanti, ma lascia stare i santi». In Rete è scattato già lo sfottò. E pare che Renzi non abbia esattamente gradito.
La strategia però non cambia, il voto è troppo vicino e il Capo vuole mietere consensi sul web. Il meccanismo è sempre quello della fabbrica delle fake news: slogan semplici e foto con l'invito a «condividere», cioè ripubblicare sulla propria pagina Facebook ottenendo un poderoso effetto megafono. Non è proprio quel che avrebbe fatto Umberto Eco, ma pazienza, con i grillini si va à la guerre comme à la guerre, senza andare tanto per il sottile.
A completare il quadro, il sorgere di altre pagine «parallele» (quelle grilline sono decine) che, evitando di apparire collegata direttamente a Renzi, postano contenuti anche più duri. Copiando pure il classico insulto grillino-travagliesco che trasforma il cognome dell'obiettivo dell'attacco. Un esempio: «Virginia Ratti», usato dalla pagina dal minaccioso nome di «Adesso ti informo».
Regista dell'operazione sarebbe Alessio De Giorgi, il fondatore di Gay.it chiamato a curare la comunicazione di Renzi a Palazzo Chigi, in una classica operazione di porte girevoli che ricorda il caso di Filippo Sensi, portavoce di Renzi ex premier e Gentiloni premier in carica contemporaneamente. Lo stesso De Giorgi è incappato in una gaffe piuttosto buffa. «Accusato» su Twitter di essere il gestore di «Matteo Renzi News», ha negato decisamente con un primo messaggio. All'insistenza dell'interlocutore, Lorenzo Borga, giovane economista filo Pd, De Giorgi risponde in modo ancora più netto: «Le risulta che io sia amministratore della pagina? Ha le prove?». Solo che, per errore si presume, lo fa a nome dall'account della pagina Matteo Renzi News, ottenendo un effetto comico notevole.
Una
morale si può trarre: se questa campagna di comunicazione funziona nonostante la sua pochezza, almeno si potrà stabilire una volta per tutte che la presunta superiorità culturale dell'elettorato di sinistra è una fake news.
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