Pugno duro e valori comuni, lo Zar cambia cerchio magico

Previsto un avvicendamento tra vice ministri, governatori e burocrati. Alla ricerca di una nuova classe dirigente più coesa

Pugno duro e valori comuni, lo Zar cambia cerchio magico
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Alla festa per l'elezione del 2012, le telecamere indugiarono sul volto di Vladimir Putin: mentre cantava l'inno nazionale una lacrima gli solcò lentamente la guancia.

In questo tempo di guerra, le celebrazioni sono state più marziali e meno emotive. Per renderle più solenni il presidente al quinto mandato ha voluto ieri al proprio fianco per un concerto sulla Piazza Rossa i candidati sconfitti: Nikolai Kharitonov, Leonid Sluckij e Vladislav Davankov, che con ostentato patriottismo e qualche imbarazzo, hanno assistito al trionfo del loro (presunto) rivale. Agli occhi occidentali una visione quasi surreale, che suggellava il carattere di messa in scena dell'intero carrozzone elettorale.

Ma se il voto è stato unanimemente considerato una pura formalità, una semplice scenografia utile a mostrare l'unità del popolo intorno all'insostituibile guida, le domande degli analisti si concentrano sul futuro della Russia putiniana. Il punto di partenza, come scrive anche Marta Allevato in un libro appena uscito (La Russia moralizzatrice, Piemme) è l'essenza stessa dell'attuale potere russo, che trova la sua legittimazione non certo nel voto popolare ma nella missione storica (che la Chiesa ortodossa ha elevato a mandato divino) di cui l'attuale leadership si sente investita.

La prima conseguenza è che praticamente tutti gli osservatori si aspettano una radicalizzazione del regime. Sia sul piano dei valori considerati propri alla Russia «eterna», in contrapposizione alla decadenza dell'Occidente (tradizione, autorità, religione); sia dal punto di vista di una ulteriore stretta del sistema repressivo. Repressione e adesione popolare al sistema di valori condiviso potrebbero consentire di fare fronte alla necessità di una possibile nuova mobilitazione militare: la guerra in Ucraina sembra in questo momento procedere con qualche successo ma, pare, a spese di perdite umane notevoli che vanno in qualche modo colmate.

Sul piano dei puri rapporti di potere l'attenzione è puntata sulla conferenza stampa televisiva di fine febbraio (di fatto l'unico appuntamento para-elettorale di Putin) in cui il presidente parlò di una nuova élite di veterani della guerra ucraina pronti a prendere in mano le leve del comando. Potrebbe essere l'annuncio di una serie di nuove nomine di vertice. Secondo una recente analisi dell'agenzia Reuters, che ha interpellato, con la tutela dell'anonimato, diversi dirigenti del regime, si tratterebbe di un cambio della guardia atteso a livello di vice-ministri, direttori ministeriali, burocrati delle aziende di Stato e governatori locali. L'obiettivo sarebbe quello di preparare una nuova classe dirigente più ideologicamente coesa rispetto all'attuale tecnocrazia ancora ai vertici dello Stato, considerata poco affidabile e selezionata quando la Russia sembrava voler convergere su un modello occidentale.

Secondo la sociologa Alexandra Prokopenko (una tra i tanti studiosi russi costretti a emigrare all'estero), del Carnegie Endowment, Putin sarebbe pronto a offrire anche all'élite del denaro un nuovo patto sociale.

Al suo ingresso al Cremlino, nei primi anni Duemila, il do ut des vide protagonisti gli oligarchi che avevano fatto i soldi nei «ruggenti» anni Novanta: potete tenervi tutto, disse allora Putin, a patto che lasciate lavorare gli uomini dei servizi di sicurezza in grado di ristabilire l'autorità nel Paese. Oggi in palio ci sono le aziende e i beni lasciati in Russia dai grandi gruppi occidentali dopo l'invasione dell'Ucraina e le sanzioni.

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