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Puigdemont chiede di trattare Ma Rajoy lo gela: "Non con te"

Dal Belgio il leader in esilio: ora dialogo incondizionato Il premier respinge però l'offerta: «Ha vinto Ciudadanos»

Puigdemont chiede di trattare Ma Rajoy lo gela: "Non con te"

È duello a distanza, e al vetriolo, sull'asse Madrid-Bruxelles, tra il redivivo ex President catalano Carles Puigdemont e il premier in carica Mariano Rajoy, il giorno dopo le elezioni regionali della Catalogna che hanno spaccato in due la regione. La vittoria del terzo partito, gli unionisti Ciutadans (C's), guidato da Albert Rivera, che con la candidata Inés Arrimadas hanno conquistato, senza alleanze, il 27,41 per cento delle preferenze, pari a 37 scranni nel Parlament, non ha arginato, però, i voti andati alle tre forze separatiste, JxC, Erc e Cup, che assieme hanno rastrellato 70 seggi e, quindi, la maggioranza parlamentare. Puigdemont, ringalluzzito dall'impennata delle preferenze, quando tutti i sondaggi davano il suo partito JxC sotto i 23 seggi (ne ha vinti 34), ieri, dalle Fiandre ha usato la solita tecnica ambigua di dialogo: prima ha sbeffeggiato Rajoy, dandogli del «fallito» a capo di un esecutivo «fallimentare» a cui le elezioni legislative anticipate «devono porre fine», poi, abbassando il tono dello scontro, ha chiesto il dialogo col premier, ma «senza condizioni» e «non in Spagna», dove lo attendono le manette.

Una proposta cui Rajoy - visibilmente deluso dalla caduta a 3 seggi degli 11 del 2015 dei Popolari catalani - ha concesso una risposta indiretta. Commentando, infatti, il successo in Catalogna del centro-destra di Ciutadans, ha visto «Un grande spiraglio di ottimismo e di salvezza per la Catalogna», precisando che: «La mia volontà è nel dialogare con chi ha vinto le elezioni, doña Inès Arrimadas». Poi, si è rivolto direttamente al disobbediente, nel giorno in cui, l'Audencia Nacional, il Supremo di Spagna, ha iscritto nel registro degli indagati per sedizione altri cinque membri parlamentari delle falangi secessioniste. «L'attuale situazione giudiziaria dell'ex presidente della Generalitat, Carles Puigdemont e di tutti gli imputati del processo d'indipendenza in Catalogna - ha detto Rajoy - non dipende assolutamente dai risultati usciti dalle urne, ieri, ma soltanto dalle decisioni dei giudici», come dire: i voti non sono un salva-condotta per chi si è autoproclamato presidente di una Repubblica che, di diritto, non esiste.

Rajoy ha chiarito che i separatisti indagati «devono sottomettersi alla giustizia come qualsiasi altro cittadino. Perché non è la giustizia che deve sottomettersi alla loro strategia politica». In conclusione, il premier ha escluso le elezioni anticipate, rimandando alla naturale data di scadenza della legislatura, il 2020.

A ricordare la disfatta dei Popolari catalani ci ha pensato, in modo più prudente, Pedro Sanchez, leader dei Socialisti, sostenitori dall'esterno del governo di Rajoy: «Le elezioni hanno mostrato le debolezze di una politica nazionale che in Catalogna ha meno sostegno di un partito antisistema (riferendosi alla sinistra integralista Cup che ha preso un seggio più del PPC, ndr)». E se Puigdemont, da Bruxelles, ha invocato per il 2018 «una Spagna che non prenda più decisioni per noi», Albert Rivera di Ciutadans ha strigliato PP e Psoe: «È difficile sopportare un separatismo illegale, che pretendeva di privare di libertà chi non è indipendentista.

Non siamo stati duri noi, ma molle il PP che per 35 anni ha costruito il potere patteggiando con i nazionalisti, dando loro ciò che volevano».

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