Guerra in Ucraina

Putin bluffa ancora sul gas. L'Europa va allo scontro

Il Cremlino: "Pagamenti in rubli? Non da subito". Italia già al lavoro sugli stoccaggi per l'inverno

Putin bluffa ancora sul gas. L'Europa va allo scontro

Con le continue giravolte sul pagamento del gas in rubli, Vladimir Putin sta giocando con il fuoco. Tirare troppo la corda potrebbe innescare una reazione dell'Europa sotto forma di un embargo delle importazioni di petrolio e metano. La misura è estrema, e se finora l'Unione non l'ha messa in cima all'agenda è stato per non danneggiare soprattutto Italia e Germania, i Paesi più dipendenti dalle forniture russe. Ma i costi che Mosca dovrebbe sopportare sarebbero decisamente superiori. Colpire nei gangli vitali colossi come Gazprom e Lukoil significa mettere in ginocchio la Russia intera.

Un blocco delle esportazioni dei suoi beni più preziosi, costerebbe quest'anno al Cremlino, in base ai calcoli dell'Institute of International Finance (Iff), oltre 300 miliardi di dollari di minori entrate. Un autentico harakiri in grado di fare a pezzi i saldi della bilancia commerciale e di infliggere un colpo mortale all'economia, destinata a contrarsi di un 20%, sempre secondo le stime dell'Iff. Insomma, una depressione economica che si andrebbe a incistare in un Paese dove i tassi d'interesse sono già al 20%, l'inflazione galoppa al ritmo settimanale del 2% e le riserve valutarie sono congelate. Il peggio del peggio.

Qualche conto deve esserselo fatto anche Elvira Nabiullina, la governatrice della Banca di Russia che negli ultimi tempi deve aver più volte messo in guardia Putin dai rischi capitali indotti da mosse azzardate, tipo quella di fare a pezzi le norme basiche che regolano i contratti internazionali, pretendendo di imporre come mezzo di pagamento una moneta indisponibile. E, forse, allo zar Vlad qualcosa di quegli inviti alla cautela deve essere rimasto nell'orecchio. Altrimenti non si spiegherebbero i continui stop and go sul cambio dei parametri valutari per comprare il gas. A quella che sta assumendo i contorni di una pantomima un po' grottesca, si sono infatti aggiunti ieri altri capitoli. A dispetto del decreto appena firmato, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha spiegato che non c'è fretta per il cambio di regime: «Il pagamento per le consegne effettive in corso ora non deve essere effettuato oggi. Dovrebbe essere fatto in qualche momento nella seconda metà del mese di aprile, o anche all'inizio di maggio». O, magari, mai. Anche perché Mosca non esclude di compiere un'inversione a 180 gradi. A parlare è sempre Peskov: «Al momento il pagamento in rubli è l'opzione più affidabile, ma non c'è niente di scritto nel marmo: in futuro potrebbe essere revocata».

Questo atteggiamento ondivago sta provocando un doppio fenomeno. Da un lato, un cedimento dei prezzi che riguarda in minor misura il petrolio, poco mosso nonostante l'annuncio di Joe Biden che altri 30 Paesi sbloccheranno le riserve di greggio, e che impatta invece sulle quotazioni del gas, scivolate ieri a 115 euro al megawattora (-8,4%), dopo che Gazprom ha assicurato che i flussi dall'Ucraina all'Europa erano regolari. Il secondo aspetto riguarda la reazione dell'Europa, dove si va consolidando la percezione che quello di Putin sia un bluff. Palazzo Chigi, per esempio, non sta valutando l'attivazione dello stato di allarme, ma rimane nello stato di preallerta in cui ci si limita a monitorare la situazione. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani è convinto che «se fosse interrotta oggi la fornitura di gas non avremmo grossi problemi per i prossimi mesi caldi. Dovremmo essere molto attenti agli stoccaggi, cioè alle riserve invernali, ma stiamo lavorando con ampio anticipo». L'obiettivo è quello di chiudere «in tempi strettissimi» contratti con altri Paesi per sostituire i 29 miliardi di metri cubi di metano importati dalla Russia.

L'attenzione è inoltre concentrata sull'interpretazione del decreto che introduce l'obbligo del pagamento in rubli. L'Eni ha ricevuto ieri da Gazprom la notifica del nuovo meccanismo. «La stiamo analizzando. Per ora non abbiamo altri commenti», dicono dal gruppo del Cane a sei zampe. Il provvedimento ha però già incassato la bocciatura di tutti i Paesi Ue.

Dalla riunione degli ambasciatori dei 27 è emersa una linea univoca: i contratti vanno onorati nelle valute previste.

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