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"Quei commissariati non sono clandestini. E attenti ai Confucio"

L'ex ministro degli Esteri: "Tutto poggia su una serie di intese strette con Pechino. E negli atenei la propaganda è realtà"

"Quei commissariati non sono clandestini. E attenti ai Confucio"

«Bisognerebbe chiedersi in che misura siano veramente clandestini gli 11 centri di polizia cinese che secondo l'inchiesta di Safeguard Defenders opererebbero nel nostro paese. Io in base alla mia esperienza con il Comitato Globale dello Stato di Diritto, un'organizzazione che cerca di far chiarezza sull'influenza del partito Comunista Cinese in Italia ed Europa, ho l'impressione che tutto poggi su una serie di accordi stretti con Pechino. Accordi di cui non abbiamo mai potuto prendere visione». Secondo l'ex-ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata, oggi senatore di Fratelli d'Italia e presidente della Commissione Affari Europei del Senato, per capire come e perché i cinesi abbiano aperto veri e propri «centri di polizia» sul nostro territorio bisogna risalire a una decina di anni fa. Ovvero al periodo in cui lui guidava la Farnesina. «Ricordo - racconta in questa intervista a Il Giornale - che dopo alcuni disordini in quartieri abitati da comunità cinesi arrivò la proposta dell'ambasciata di Pechino di aprire un tavolo comune con le nostre autorità. La bocciai immediatamente, già a livello informale, perché rappresentava un'inammissibile cessione di sovranità nel campo della sicurezza. Però i tentativi sono andati avanti».

Cosa glielo fa pensare?

«Non è che io lo pensi. Lo ha detto in un'intervista al Corriere della Sera, il presidente cinese Xi Jinping quando - alla vigilia della visita in Italia del 2019 - elogiò i pattugliamenti congiunti definendoli uno degli esempi più importanti di collaborazione con il nostro paese. Se tutto si fosse limitato all'assistenza ai turisti non l'avrebbe detto».

E perché erano così importanti?

«Perché Pechino ha tutto l'interesse a evitare che le nostre autorità mettano il naso nei quartieri dove le sue comunità producono sotto-costo, evadono le imposte e calpestano i diritti dei lavoratori. I casi di traffico valutario venuti alla luce negli anni, assieme alle miriade di esercizi commerciali aperti e chiusi nel giro di pochi mesi, avevano già evidenziato la nostra incapacità di esercitare la sovranità fiscale. L'attività dei centri di polizia denunciati da Safeguard Defenders fa temere che queste falle si siano allargate al campo della sicurezza».

Secondo il ministro degli interni Matteo Piantedosi non esiste alcuna relazione tra queste attività e gli accordi sui pattugliamenti congiunti.

«Esatto ed è una precisazione è importante. Per la prima volta nei sette anni trascorsi dalla firma degli accordi un'autorità governativa precisa che le forze di polizia cinesi non hanno alcun titolo per operare fuori dagli spazi turistici previsti dalle intese. E tanto meno possono raccogliere informazioni sui propri concittadini. In base a questo assunto qualsiasi centro di polizia cinese attivo sul nostro territorio è illegale. E quindi perseguibile. E altrettanto illegali e perseguibili diventano le attività informative o d'intelligence esercitate nel nostro paese. Dunque il chiarimento segna un svolta cruciale».

Ma i precedenti governi hanno rinunciato a esercitare un controllo o sono stati ingannati dai cinesi?

«Non spetta a me dirlo. Ma quando un nostro governo ha approvato, unico nel G7, il Memorandum sulla Via della Seta molti alleati si sono detti stupiti e preoccupati. Lo stupore riguardava l'ampiezza di un testo, mai discusso in Parlamento, che concede mano libera alla Cina in settori cruciali come l'informazione. Grazie a quel Memorandum alcuni organi d'informazione collegati al Partito Comunista cinese venivano autorizzati a propagare nel nostro paese informative e notizie non passate al vaglio dai giornalisti italiani».

E continuiamo a non occuparci di organizzazioni come i Centri Confucio attivi a livello accademico.

«Esatto. In Italia ne abbiamo una dozzina, ma pur essendo integrati nelle nostre stesse università finiscono per spodestarne l'autonomia. Per capirlo basta esaminare quel che viene prodotto a livello di Storia Contemporanea cinese.

Qualcuno ha mai sentito un accademico legato agli Istituti Confucio menzionare la parola Tien An Men? Ovviamente no, perché qualsiasi ricerca - da quelle sui rapporti tra Cina e Khmer Rossi fino ai rapporti con Taiwan - deve seguire alla lettera il verbo di Pechino».

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