Quelle fantasie sui dubbi di Mattarella

Chi sperava in uno stop del Colle ha alimentato una bufala giuridica

Quelle fantasie sui dubbi di Mattarella
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Un caso di analfabetismo politico e giuridico: questo c'era dietro il tifo da stadio che per dieci giorni ha investito Sergio Mattarella perché non autorizzasse la presentazione alle Camere del disegno di legge sulla giustizia elaborato dal ministro Carlo Nordio. L'altolà del Quirinale è stato dato per possibile, per probabile, per quasi certo soprattutto sull'articolo 1 del disegno di legge, che al comma B prevede l'abolizione del reato di abuso d'ufficio e al comma E riscrive e precisa il reato di traffico di influenze. «Regalo ai corrotti», «insulto all'Europa», e altre definizioni tranchant sono state date in questi giorni dei due commi della legge Nordio, preconizzando l'altolà del capo dello Stato, senza specificare perché né con quali poteri Mattarella avrebbe potuto rifiutare l'autorizzazione. Invece Mattarella ha firmato. Per mitigare il peso della firma, molti ieri scrivono che sì, ha firmato: ma «perplesso».

Il problema è che forse tra chi sperava in uno stop dal Colle si confondevano disegni, decreti, leggi: che sono cose diverse, e davanti alle quali i poteri del capo dello Stato sono diversi. Un decreto legge è subito esecutivo, il governo prende provvisoriamente il posto del Parlamento, e il Presidente deve controllare che questo avvenga solo in caso di necessità e urgenza. Il disegno di legge governativo è solo una proposta, è l'inizio odi un iter che si svolgerà tutto in Parlamento. E la Costituzione si limita a dire che il Presidente «autorizza» la sua presentazione.

Quali siano i margini di manovra o di rifiuto del capo dello Stato, la Costituzione non lo dice. Ma, spiega al Giornale Marilisa D'Amico, ordinario di Diritto costituzionale in Statale, «da più parti si è osservato che, a Costituzione vigente, il presidente ben difficilmente potrebbe arrivare a negare l'autorizzazione, potendo al limite richiedere un riesame dell'iniziativa; che lo stesso termine autorizzazione appare improprio, in assenza di precostituiti paradigmi di legittimità o di opportunità da rispettare». Aggiunge Giuseppe Arconzo, associato di Costituzionale nella stessa università: «Le riserve della dottrina hanno trovato conforto nella prassi, che non ha mostrato casi emblematici di diniego dell'autorizzazione o di tensione istituzionale collegata all'esercizio di tale potere. Dal punto di vista giuridico, la norma è generalmente apparsa molto povera di significato».

Quindi Mattarella avrebbe potuto solo firmare, facendo in sostanza da passacarte? Niente affatto. Nella storia della Repubblica, ci sono stati presidenti che hanno autorizzato quasi tutto, come Saragat e Leone, e altri - sopratutto Segni e Pertini - che invece hanno sollevato spesso obiezioni ai disegni governativi, per scopertura finanziaria o per dubbi sul merito. Ma nella stragrande maggioranza dei casi lo hanno fatto firmando l'autorizzazione, e accompagnando il via libera con le loro osservazioni, invitando il governo a tenerne conto. Una moral suasion senza poteri vincolanti: ma sempre e comunque esercitata pubblicamente, per iscritto e in modo motivato.

Il capo dello Stato non ha fatto nulla di tutto questo. Non ha rifiutato l'autorizzazione al governo, come gli veniva chiesto a gran voce. E nemmeno ha accompagnato l'autorizzazione, come i suoi predecessori in casi analoghi, con i suoi dubbi.

Pensare che un giurista costituzionale del calibro di Mattarella abbia affidato le sue prerogative a alzate di sopracciglio, o a suggerimenti verbali offerti a quattrocchi al presidente del Consiglio, sarebbe irriguardoso. Ma di questi tempi tutto vale.

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