«Natura ragionevolmente apocrifa delle firme riconducibili a Caracciolo Marella su alcuni documenti di rilievo»: tra le accuse mosse ai tre fratelli Elkann e sfociate nel provvedimento di sequestro per 74 milioni di euro eseguito venerdì su richiesta della Procura di Torino, c'è anche quella di avere falsificato la firma della nonna per simulare la sua residenza in Italia. Tra i documenti «taroccati» c'è anche quello che prevedeva la cessione a John Elkann, il maggiore dei tre nipoti, della villa al 256 di Strada San Vito Revigliasco, sulla collina torinese. Dove invece, secondo le indagini della Guardia di finanza, in realtà ha continuato a abitare lei, Donna Marella, la vedova di Gianni Agnelli, dal 2010 fino alla morte nel 2019. Gli stessi anni in cui, secondo i suoi nipoti, viveva tra Skt. Moritz e Gstaad.
Di trucchi che i tre Elkann con la collaborazione del consulente di famiglia Gianluca Ferrero avrebbero messo in atto per simulare che la nonna vivesse in Svizzera, e per sottrarre così tasse per decine di milioni al fisco italiano, ribollono le migliaia di carte dell'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio, che vede John, Lapo e Ginevra Elkann indagati per frode fiscale e truffa allo Stato. Per mascherare il fatto che la anziana signora avesse a disposizione in Italia autisti, maggiordomi e altro personale di servizio, le assunzioni venivano effettuate da Fca Security, branca dell'azienda di famiglia. Ma poi il loro lavoro si svolgeva tutto lì, nella villa in collina, o nella tenuta di Villar Perosa, o nella grande casa a due passi dal Quirinale che era la residenza romana di Donna Marella.
Nelle carte dell'inchiesta, il ruolo centrale nelle operazioni illecite viene attribuito a John Elkann. L'attuale presidente di Stellantis, Ferrari e di Gedi (la società editrice di Repubblica e della Stampa) è indicato ripetutamente come il principale corresponsabile delle tattiche elaborate da Ferrero e in qualche caso come «istigatore». Tutti i reati attribuiti al maggiore degli Elkann sono stati commessi secondo la Procura in concorso con la nonna, Marella Caracciolo, uscita di scena con la morte nel 2019. Ma appare chiaro che la vedova Agnelli, per la sua età e per il suo stato di salute sempre peggiore, difficilmente ebbe un ruolo attivo nell'organizzazione dei falsi.
Il problema è che c'è un altro morto che si staglia, e con statura e ruolo ben maggiore, sulle carte dell'indagine. È Gianni Agnelli, senatore della Repubblica, morto nel 2003 tra il cordoglio nazionale. Le carte dell'indagine ricostruiscono puntigliosamente la massa di fondi neri, di società occulte, di conti offshore in cui Agnelli aveva collocato un gigantesco tesoro. Si tratta di decine di conti e di trust aperti fin dagli anni Ottanta, prevalentemente attraverso la banca Morgan Stanley, e collocati tra le Isole Vergini, il Liechtenstein, Hong Kong e Singapore. L'elenco della «documentazione bancaria riferita ai rapporti intrattenuti da Marella Caracciolo in vita nei confronti degli istituti bancari presso i quali aveva acceso rapporti» occupa un'intera pagina. È lì, nel tesoro occulto dell'Avvocato, che sta la ragione della rabbia di sua figlia Margherita, che quando si rende conto di avere ricevuto solo una piccola parte dell'eredità, si scatena contro sua madre Marella e i propri figli di primo letto, i tre rampolli Elkann.
Le cause civili in Italia e in Svizzera tra madre e figli andranno avanti per anni, e nelle carte si coglie bene come l'ostinazione degli Elkann nel sostenere che la nonna viveva in Svizzera siano legate soprattutto a quelle vertenze: se si accerta che Marella abitava in Italia, il patto firmato da Margherita per accettarne l'eredità non vale nulla, perché in Italia i patti sono vietati: e l'assalto di Margherita ai capitali dei figli diventa incontenibile. Ma questo alla Procura di Torino importa solo marginalmente. A essere penalmente rilevante è il danno inflitto dagli Elkann allo Stato sottraendo sia i redditi della nonna che il suo patrimonio.
Per dimostrare che la vedova Agnelli abitava a Torino sono state compiute lunghe indagini. «Sono stati acquisiti riscontri - si legge nelle carte - in ordine alla presenza effettiva in Italia. Tra i documenti di maggior rilievo giova evidenziale il documento sequestrato presso l'ufficio di Paola Montaldo, segretaria personale di Marella Caracciolo, riepiloganti in forma schematica i giorni di effettiva presenza in Italia. Dallo schema emerge che Marella Caracciolo ha dimorato in Italia per la maggior parte dei giorni mentre in Svizzera ha trascorso meno di due mesi all'anno».
Per almeno nove anni (ma i primi cinque sono ormai coperti dalla prescrizione) la anziana nobildonna non ha pagato un euro di tasse in Italia. Nel frattempo, si legge nel decreto di perquisizione del febbraio scorso, percepiva «una rendita vitalizia pari a euro 583.333,50 mensili» e godeva delle rendite di un fondo intestato alla Bundeena Consulting, nelle Isole Vergini, dove si trovava un deposito di circa 900 milioni di dollari «con un reddito annuo pari a 30 milioni di dollari statunitensi». È da questa colossale disponibilità di denaro che la Procura di Torino è partita per calcolare in 74,8 milioni di euro l'ammontare della evasione fiscale commessa da Donna Marella e dai suoi tre nipoti.
Il decreto di sequestro, secondo quanto si è appreso, è andato a buon fine: sui conti personali e nei portafogli titoli degli Elkann è stata trovato quanto necessario a risarcire il fisco. Ma gli avvocati si preparano a ricorrere al tribunale del Riesame chiedendo la restituzione di tutto.
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