C ome si pavoneggiano i politici quando pronunciano la parola «riforme», un talismano che evoca intrinsecamente cicli virtuosi, prosperità e benessere. Ma le riforme, quelle vere, si attuano, non si annunciano in continuazione.
Nella confusa estate del post Covid, non sfugge il furore riformista di Pd e M5s, la strana coppia di governo che della visione del mondo condivide solo la ricerca spasmodica di carburante per tenere in vita il motore ingolfato e ansimante del secondo governo Conte.
I grillini puntano tutto sul referendum del 20-21 settembre sul taglio dei parlamentari, a loro piace vincere facile con i quesiti populisti di grande presa che non affrontano il problema del funzionamento delle Camere mutilate. Invece il Pd spinge per approvare almeno in un ramo del Parlamento una legge elettorale di impronta proporzionale con sbarramento al 5%.
Brutta abitudine, quella italiana, di giocare con le regole del voto e soprattutto imporle a colpi di maggioranza. È chiaro che la filosofia dei due alleati di governo non ha nulla a che vedere con un riassetto delle forme di governo scaturite dal voto popolare.
Fanno sempre paura gli apprendisti stregoni che giocano in laboratorio con preparati tossici e alambicchi fumanti per attuare le loro evidenti trame di conservazione di un potere acquisito indirettamente al Papeete e mai legittimato dai cittadini ai seggi elettorali.
Si è guardato spesso con ammirazione alla Francia e al suo semipresidenzialismo che prevede un leader forte investito dal popolo e un primo ministro delegato a occuparsi delle questioni quotidiane. Con i Crimi e gli Zingaretti si rischia invece un altro semipresidenzialismo, inteso come dimezzamento dell'autorità di governo. Con un Parlamento che rischia di essere ridimensionato dal referendum e un sistema elettorale programmato per non avere vincitori netti, è chiaro per tutti dove si vuole andare a parare.
La stessa sinistra, quella più tradizionalista e conservatrice, è ancora oggi frastornata dal ciclone Renzi che da sindaco di Firenze in una notte si prese il Pd, Palazzo Chigi e una rete di potere impressionante. Grazie ovviamente a una spinta popolare che la vecchia guardia dem non poté arrestare.
Sembra che dopo il mite Gentiloni, il Partito democratico non vivacchi tanto male con un altro premier di Palazzo, indicato dalla Casaleggio Associati e non dagli italiani consultati nell'ormai lontanissimo 2018. Conte, quello che solo fino a due anni fa era lo sconosciuto «professor Conte», è il vero modello del semipresidenzialismo all'italiana che ormai impone a Palazzo Chigi scialbe figure indicate più dai giri di conoscenze che dalla vera società civile.
Per riavere un leader con un vero partito alle spalle manca un semplice passaggio che a Palazzo non piace
affatto: le elezioni politiche. Meglio tornare al voto che consentire alla sgangherata compagine giallorossa di manomettere il futuro degli italiani con «riforme» fatte su misure per garantire un futuro ai Conte di turno.
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