Cronache

Quell'anziano ucciso anche socialmente

Antonio si è lasciato morire perché sapeva che polizia e carabinieri, i vicini di casa, non sarebbero intervenuti in suo aiuto ancora una volta

Quell'anziano ucciso anche socialmente

«Per un attimo proviamo a scambiare le nostre vesti con quelle di Antonio Cosimo Stano, di immedesimarci nelle sue condizioni, quelle di chi chiede inutilmente aiuto e sa che quel soccorso non arriverà». Marcello Turno, psichiatra e membro della Società Psicoanalitica Italiana, ci invita a fare questo viaggio attraverso l'empatia per provare l'angoscia senza confini di Antonio Stano quando la banda di ragazzini lo aggrediva con calci e pugni, sputi e offese che lo hanno spaventato al punto da costringerlo a rinchiudersi in casa senza mangiare per paura di uscire a fare la spesa e incorrere in un nuovo assalto lungo la strada. Antonio si è lasciato morire perché sapeva che polizia e carabinieri, i vicini di casa, che nel video girato dalla banda chiamava disperatamente, non sarebbero intervenuti in suo aiuto ancora una volta. «È come essere caduti in crepaccio e gridare verso le persone che camminano al di sopra della nostra testa con la certezza che non ci udranno mai». «È terribile che nessuno si sia identificato con la vittima, nessuno abbia chiesto aiuto al suo posto, e oltre alla morte fisica abbia subito anche quella sociale» spiega Turno. Uno dei ragazzini aveva mostrato ad un'insegnante l'immagine in cui colpiva Antonio con un bastone: «Guarda prof, certo che sono io, quella è la mia felpa e queste sono le mie scarpe». «Ormai si riprende con modalità automatiche, quasi autistiche, con un gesto che sembra distaccato dalla coscienza - analizza lo psicoanalista -. Sono immagini simili a quelle che filmarono le truppe degli alleati davanti all'orrore dei campi di concentramento, per puntare il dito contro chi lo aveva prodotto, per dire loro: voi siete stati anche questo. Sono immagini che chiederanno un conto e forse avvieranno un processo interno alle loro coscienze che potrebbe farli sentire colpevoli tutta la vita».

Anche i due ventenni, militanti di CasaPound, che hanno stuprato una donna a Viterbo, dopo aver filmato la violenza l'hanno inviata con una chat ad amici e parenti. Le foto dell'abuso sono giunte persino sul cellulare del padre di uno dei carnefici che ha intimato al figlio di cancellarle immediatamente. «Non c'è più una cultura transgenerazionale che promuova l'attenzione verso il prossimo e le persone più fragili» lamenta Turno. Né il sedicenne di Manduria, né il ventenne di Viterbo, sembrano coscienti dell'illegalità e distruttività delle loro azioni, tanto da informarne proprio coloro che rappresentano il limite e le regole da rispettare.

Un limite che hanno smarrito i ragazzi sull'esempio degli adulti che hanno realizzato una subcultura per cui è più importante l'agire e l'avere dell'essere.

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