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Ingiusta e in malafede: la caccia all'untore sulla pelle dei giovani

Ingiusta e in malafede: la caccia all'untore sulla pelle dei giovani

G li obiettivi della caccia all'untore di ferragosto sono i giovani. È ormai attribuita solo a loro ogni responsabilità sull'aumento dei casi di Coronavirus. Se vanno in vacanza o alle apericene nelle piazze della movida si trasformano in super diffusori cui dare la colpa del cambiamento della curva epidemiologica osservata a luglio e in questo inizio d'agosto. Se il virus riprenderà piede sarà loro responsabilità, di tutti i giovani e non soltanto di quel numero sparuto che si ribella alle regole anti contagio assembrandosi senza mantenere due metri di distanza dagli amici. Nell'immaginario collettivo i giovani untori non sono più figli e nipoti ma individui pericolosi ed egoisti che uccideranno i genitori e i nonni senza nessuna pietà. Tra le colpe di cui si macchierebbero c'è anche quella di ammalarsi in modo meno grave di adulti e anziani, di cui in fin dei conti vorrebbero l'agognato potere.

Il Covid sta inasprendo il conflitto generazionale allontanando ulteriormente gli uni dagli altri, rendendo ancora più difficili relazioni sociali già messe duramente alla prova dalla paura del contagio. L'avversione degli adulti per i giovani è testimoniata dalla differenza di trattamento che è destinato loro rispetto a quello riservato ai clandestini. Se si tratta di clandestini è doveroso fare le necessarie distinzioni, per cui è vietato parlare genericamente di Covid e migranti per evitare strumentalizzazioni e favorire quei sovranisti che vorrebbero i confini e i porti chiusi. Eppure i clandestini come i giovani sono un problema reale. Arrivano sulle coste spesso già contagiati e alcuni di loro benchè intercettati, diagnosticati e isolati fuggono dai centri di accoglienza per dirigersi in altre città, eludendo la quarantena. La responsabilità non è dei migranti che sperano in una vita migliore ma di una politica che si dimostra incapace di tutelare la salute.

Tra i giovani viveur e i migranti c'è un comune denominatore: la necessità di vivere nonostante il Covid. Si può ipotizzare che i comportamenti irragionevoli siano una reazione maniacale legata allo stress. Hanno vissuto il lutto, la perdita, sono stati spaventati, privati dell'istruzione e degli affetti. Da giovani la malattia e la morte appaiono lontani, ci si sente invincibili e per questo ci si può cimentare in progetti a lungo termine che ad un adulto sembrerebbero aleatori.

Negare il virus permette una ripresa del tono dell'umore, di riprendere le attività e la socialità e di salvarsi dalla depressione.

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