
"Senza parole", "allibiti", "sconcertati". Sono da poco passate le 15.30 di ieri quando l'Ansa batte la notizia e per l'Arma dei carabinieri è un duro colpo. La procura di Milano ha chiuso infatti le indagini sull'incidente nel quale ha perso la vita Ramy Elgaml, il 19enne morto lo scorso 24 novembre durante la fuga dai carabinieri con la moto guidata dal suo amico tunisino Fares Bouzidi, 22 anni. Sia per Fares che per il militare che quella notte era al volante della "Gazzella" - salvo che i pm non cambino idea dopo memorie difensive o interrogatori - si profila quindi la richiesta di rinvio a giudizio per la morte di Ramy. Secondo i pm Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, insomma, sia il tunisino che il militare hanno avuto responsabilità nell'incidente. Ma mentre l'omicidio stradale contestato a Bouzidi è aggravato da una serie di violazioni al codice della strada - era senza patente e guidava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti - il capo d'imputazione per il carabiniere è invece un omicidio stradale "semplice" che contesta imprudenza e imperizia: i pm mettono in luce la distanza "inidonea" del militare, troppo vicino alla moto, e anche la "lunga durata dell'inseguimento".
"Ma non stravolgiamo le regole di civiltà! Non difendiamo l'indifendibile per bilanciare quello che non si può bilanciare" commenta Vincenzo Romeo, appuntato scelto in servizio alla stazione di Porto Santo Stefano (Grosseto) e segretario nazionale del Psc (Pianeta sindacale carabinieri), 10mila500 iscritti negli ultimi tre anni e mezzo, cioè da quando le Associazioni professionali a carattere sindacale militare (Apcsm) hanno sostituito il Cocer, il Coir e il Cobar dei carabinieri. "Perché nessuno parla della fuga davvero forsennata di quei ragazzi che incrociavano la morte a ogni incrocio e delle pattuglie dei carabinieri, bravissimi colleghi e con grandi capacità operative, che quei due giovani li hanno mai messi in difficoltà? Basti pensare che la Gazzella non ha sterzato per farli cadere, ha semplicemente frenato alla fine della corsa e loro poi sono caduti - insiste Romeo -. Ogni giorno ci sono auto che scappano. E chi scappa ha commesso o sta per commettere un reato, non si dribbla un alt dei carabinieri per 8 chilometri, infischiandosene di lampeggianti e sirene, al solo scopo di non prendere una contravvenzione! Cosa dovrebbe fare oggi un carabiniere? Difendere la propria tutela cercando di non fare? È un messaggio che ci rifiutiamo di dare, soprattutto in un momento come questo in cui il numero dei carabinieri si abbassa e la richiesta di sicurezza si alza sempre di più".
Alla segreteria generale regionale Usic (Unione sindacale italiana carabinieri) Lombardia, oltre 14mila iscritti, ammantano l'amarezza con la formalità: "Seguiamo con la massima attenzione l'evolversi della vicenda, ribadendo la fiducia nell'operato dei colleghi e nella necessità di una tutela giuridica funzionale per chi opera in condizioni ad alto rischio. Sarà fondamentale che ogni valutazione sia condotta con equilibrio evitando giudizi sommari o strumentali".
Antonio Serpi, segretario generale della sigla sindacale più importante per numero di iscritti (oltre 15mila) il Sim Carabinieri (Sindacato italiano militari), apprende "con stupore" la richiesta della Procura di procedere alla chiusura indagini anche nei confronti del militare "alla luce della consulenza dell'ingegner Romaniello che lasciava trasparire l'assenza di responsabilità concorsuale da parte del carabiniere per la morte del giovane Ramy".
"L'auspicio è che l'autorità giudiziaria prenda atto di memorie difensive ovvero di interrogatorio da parte del predetto militare, della sua totale assenza di responsabilità e proceda al più presto con una richiesta di archiviazione - conclude Serpi -.
È davvero venuto il momento che l'intero comando dell'Arma dei Carabinieri e anche tutte le forze di polizia facciano quadrato attorno a chi nel legittimo e doveroso adempimento del proprio dovere si trova ora nel tritacarne giudiziario e mediatico".