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Record di occupati a giugno ma è già allarme recessione

In Italia 23 milioni di persone hanno un lavoro. S&P però segnala che l'industria sta soffrendo

Record di occupati a giugno ma è già allarme recessione

L'Italia potrebbe presto dover affrontare un contesto macroeconomico recessivo, ma questo test probante sarà affrontato sapendo che alle spalle ci si è lasciati un pieno recupero dei livelli occupazionali. Sono queste le contraddizioni della fase che stiamo attraversando certificate ieri dall'Istat e da Standard & Poor's che pubblica l'indagine sulle aspettative dei direttori acquisti delle imprese.

Secondo i dati diffusi ieri dall'istituto nazionale di statistica, a giugno gli occupati sono cresciuti di 86mila unità (+0,2%), con un traino fortissimo dei dipendenti permanenti, riportando lo stock totale sopra quota 23 milioni (18,1 milioni i lavoratori dipendenti), sui livelli prepandemici. Un incremento che porta al rialzo anche il tasso di occupazione, cioè il numero di persone con un impiego sul totale della popolazione di riferimento, salito al 60,1% e ai massimi dal 1977, cioè dall'avvio delle serie storiche. La disoccupazione è rimasta stabile all'8,1% (ma tra i giovani è salita al 23,1%, cioè +1,7 punti) e il tasso di inattività è calato al 34,5% (-0,2 punti). Rispetto a giugno 2021, il boom dei dipendenti è ancora più evidente: gli occupati sono aumentati dell'1,8% (+400mila) soprattutto per l'incremento dei dipendenti (+2,3%). I lavoratori a termine sono cresciuti del 7,1% e quelli permanenti dell'1,3 per cento. L'occupazione a giugno è aumentata per entrambi i sessi (+0,2 punti per gli uomini e +0,3 le donne) e in tutte le classi d'età, con l'eccezione dei 35-49enni tra i quali invece diminuisce ma solo per effetto della dinamica demografica. In calo invece rispetto a maggio i lavoratori autonomi (-0,5%), ma restano sostanzialmente stabili sull'anno.

«La crescita degli occupati a giugno conferma la vivacità del Pil del secondo trimestre dell'anno», ha commentato l'Ufficio studi di Confcommercio sottolineando, però, che «resta, comunque, debole l'occupazione indipendente (-27mila unità su maggio) e, più in generale, permangono le fragilità prospettiche dello scenario internazionale che si rifletteranno in un forte rallentamento dell'attività economica e dei consumi nella seconda parte dell'anno». Tuttavia, conclude Piazza Belli, «è necessario rimarcare come le performance del sistema Italia si confermino ben al di sopra delle aspettative».

Aspettative che, tuttavia, rischiano di restare fortemente deluse se non vi sarà una svolta. Il declino manifatturiero nell'Eurozona a luglio allude a una recessione, segnalando il più forte calo della produzione dai lockdown di maggio 2020. Il mese scorso l'indice S&P Global Pmi per il settore manifatturiero dell'Eurozona è sceso al di sotto della soglia di espansione di 50 punti, passando a 49,8 dai 52,1 punti di giugno. Germania, Francia, Italia e Spagna hanno tutte registrato letture inferiori a 50 punti nei rispettivi Pmi manifatturieri, con l'Italia maglia nera a 48,5 punti.

«Secondo me si va verso una recessione o quantomeno un rallentamento molto forte. Il secondo trimestre è stato supportato dalla forte ripresa del turismo e da altri fattori. Ma con l'aumento del costo della vita, l'inflazione, di fatto si riducono i redditi disponibili reali», ha commentato Lorenzo Codogno della London School of Economics, aggiungendo che «questa dinamica inevitabilmente in autunno porterà conseguenze sui consumi e mi aspetto una riduzione abbastanza significativa nel ritmo di crescita.

La situazione, in parte, potrà essere compensata da delle misure fiscali, come quelle che sta per varare anche il governo italiano».

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