
da Roma
Non deve essere andato benissimo il vertice di maggioranza sulle regionali che si è tenuto ieri a Palazzo Chigi e a cui è seguita una ferrea consegna del silenzio. Rigorosa al punto che anche la maggior parte dei big dei partiti coinvolti sono stati tagliati fuori. Una riunione di un'ora e mezza a cui hanno preso parte Giorgia Meloni, i due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, e il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi. Sul tavolo l'intricato rebus delle candidature nelle cinque regioni che andranno alle urne entro fine anno: Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto.
L'obiettivo non era certo quello di completare l'intero puzzle in un colpo solo, ma quantomeno di sbloccare le due regioni date per perse e annunciare i candidati governatori in Puglia (Mauro D'Attis di Forza Italia) e Toscana (Alessandro Tomasi di Fdi). Niente. Lo stallo è stato totale e ha paralizzato l'intera trattativa. Su cui si tornerà in un nuovo vertice la prossima settimana, forse già lunedì.
Magari per allora si saranno diradate le nubi di incertezza che sembrano avvolgere soprattutto il Veneto, vero epicentro di eventuali scosse all'interno della maggioranza. Archiviato il terzo mandato, infatti, l'uscente Luca Zaia dovrà passare la mano. E ancora non è chiaro a chi. La Lega rivendica ovviamente il diritto alla successione e Salvini punta su Alberto Stefani. Ma non è così scontato che Meloni sia d'accordo, visto che gli attuali equilibri - 5 governatori di Forza Italia, 4 della Lega, 3 di Fdi - evidentemente non rappresentano gli attuali rapporti di forza nella maggioranza. La premier, dunque, continua a spingere per un candidato del suo partito (i senatori Luca De Carlo o Raffaele Speranzon) o in alternativa per un civico comunque riconducibile a via della Scrofa. Una partita complicata dal fatto che non è chiaro cosa voglia Zaia, che comunque in Veneto voti ne sposta parecchi e che continua a evocare la possibilità di correre con una sua lista. Anche se il fatto che abbia detto pubblicamente che una Lista Zaia può arrivare addirittura al 45% lascia pensare che la sua sia solo una minaccia. È evidente, infatti, che non correndo da governatore e con i candidati consiglieri regionali di Fdi, Lega e Fi in campo, il 45% è un obiettivo quasi impossibile anche per il Doge. E, avendolo messo nero su bianco, ora anche un ottimo 30% sarebbe considerata una mezza vittoria.
C'è poi la questione di cosa farà in futuro Zaia. Ieri è nuovamente circolata l'ipotesi di un valzer di poltrone che porterebbe il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi a candidarsi in Campania per lasciare il Viminale a Francesco Lollobrigida che al ministero dell'Agricoltura sarebbe sostituito proprio da Zaia. Uno scenario in verità poco plausibile per due ragioni. La prima è che vincere in Campania per il centrodestra sarà difficile e una sconfitta del ministro dell'Interno rischia di avere ricadute sul governo. La seconda è che improbabile che Salvini acconsenta a lasciare il Viminale a Fdi. Non è un caso che dal ministero dell'Interno smentiscano in maniera netta: "Come già detto decine di volte, Piantedosi non ha alcuna intenzione di candidarsi in Campania". Dove alla fine dovrebbe correre il viceministro degli Esteri di Fdi Edmondo Cirielli. Con buona pace di Forza Italia, che - dopo il passo indietro di Fulvio Martusciello a seguito dell'inchiesta Huawei che ha coinvolto la sua segretaria - preferirebbe un civico.
È chiaro, infatti, che un candidato governatore di Fdi farebbe da traino di voti per il partito di via della Scrofa a danno anche di Forza Italia.Al momento - nonostante Tajani assicuri che al vertice "non si è parlato di regionali" - la quadra sembra essere lontana. Tanto che Meloni alla fine della riunione avrebbe detto "o troviamo un accordo oppure decido io".