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Renzi spara su Ursula per colpire Fi

Il leader Iv alla Leopolda punta ai voti centristi. E stronca Conte e il Pd: "Partito di poltrone"

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Rottama Ursula von der Leyen («Non va riconfermata alla guida dell'Ue perché non è una leader ma una follower»), lancia la sfida per il quorum («4%? Se non facciamo il 5% non sarò per nulla soddisfatto»), punta al voto di un «centro europeista» che non vuole essere costretto a scegliere tra «la destra sovranista» e «questa sinistra populista e ormai grillizzata».

Matteo Renzi chiude la sua Leopolda elettorale, tra le ovazioni di una folta platea galvanizzata dall'ottimismo della volontà del suo leader, e mira al bersaglio grosso. Non Giorgia Meloni, duramente criticata perché «il suo governo educa alla rabbia, al vittimismo e all'intolleranza»; né Elly Schlein che «è sempre stata coerentemente da una parte opposta alla mia» ma se non altro ha fair play: «È l'unica leader di partito che prima della Leopolda mi ha mandato un messaggino per dirmi in bocca al lupo». Giuseppe Conte viene liquidato con una battuta tagliente: «Mai provato tanta soddisfazione come il giorno dello scambio di campanella tra lui e Mario Draghi». Al «trasformista» Salvini va persino peggio: «Capace che tra qualche anno lo ritroveremo a bordo della navi Ong con la t-shirt di Lampedusa. Ma ormai purtroppo è tutta così, la politica italiana».

Quanto a Carlo Calenda, il compito di rompere definitivamente i ponti con lui viene affidato al sarcasmo di Maria Elena Boschi: «Il progetto del terzo polo è fallito perché c'è un uomo che litiga con tutti e ovunque vada lascia le cose a metà, e che usa le stesse tecniche dei grillini per lanciare accuse contro di noi. Quest'uomo si chiama Carlo Calenda».

Nel mirino renziano c'è la presidente uscente della Commissione europea, e il suo obiettivo di succedere a se stessa: «Se vengo eletto non la voterò, e farò di tutto perché il Ppe punti su un candidato migliore». Altro che «maggioranza Ursula»: von der Leyen ha «sbagliato tutto, basta vedere il fallimento del suo ideologico Green Deal: principi alti e nobili, che però in pratica uccidono pezzi di economia per regalarli a India e Cina, che a loro volta uccidono l'ambiente».

Non è solo la politica europea a motivare l'attacco: il leader di Italia viva, ripudiando la poco carismatica presidente della Commissione, punta a indebolire «il partito italiano che la ha più voluta», ossia Forza Italia. Che, «priva ormai della visione europeista che c'era in Berlusconi, è governata da grigi burocrati come Tajani». E l'omaggio nostalgico al fondatore di Fi, anche per corteggiarne gli elettori, diventa un leit motiv della kermesse fiorentina. C'è l'ex leader del Ppe, lo spagnolo Alejandro Agag, che sale in jeans sul palco per ricordare di quando «avevo solo 28 anni, ero appena diventato segretario e mi venne affidato l'incarico di portare Silvio nel Ppe: lui, che era un genio della politica capì subito quanto sarebbe stato decisivo farlo». C'è persino la ex compagna Francesca Pascale, che viene ad assistere alla Leopolda e, chiacchierando con i cronisti che la attorniano, posa la spada del Cavaliere sulla spalla del padrone di casa: «Silvio considerava Matteo un genio: oggi lui è l'unico leader in campo capace di portare avanti il progetto di Berlusconi. Sarà lui il suo erede? Lo dirà solo il tempo, ma di Renzi mi convincono la tenacia, il coraggio, la passione e quella verve che difficilmente si incontra in politica».

Ma Renzi picchia forte anche a sinistra, a cominciare dalla «sua» Firenze: «Questo Pd, che non è più il nostro Pd ma il partito delle poltrone, non fa le primarie, fa cassa con le multe, fa lo stadio con i soldi pubblici: uno scandalo.

Di sinistra? Non siete nemmeno mancini voi».

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