E ora interrogateci tutti su tutto, dalla mafia pugliese ai macellai, da Mps al Ponte sullo Stretto e già che c'è al Vaticano. Non bastano le tre piste ipotizzate dagli inquirenti per la bomba al conduttore di Report Sigfrido Ranucci. Nell'esposto presentato nei giorni scorsi dalla redazione della trasmissione Rai alla Procura di Roma che indaga sull'attentato di Pomezia del 16 ottobre scorso i giornalisti avvertono i pm: allargate il campo dei mandanti a tutti gli ultimi servizi di Report.
A un mese dallo scoppio dell'ordigno artigianale davanti casa di Ranucci, come ha ricostruito il Giornale, gli inquirenti avrebbero ristretto il cerchio a tre possibili mandanti, lontano dal movente "politico" che - a giorni alterni - ipotizza Report: il racket sul litorale romano, lo spaccio di droga dalla Colombia gestito dagli albanesi e l'interesse della 'ndrangheta nell'eolico in Veneto, in attesa delle perizie di carabinieri, Ris e Digos su ordigno, identità dell'aggressore e Panda nera che avrebbe usato.
Ma i giornalisti di Report giustamente si considerano bersaglio di questa orrenda intimidazione e sono pronti a farsi interrogare "a prescindere dalle varie e specifiche ipotesi che sono al vaglio degli investigatori". E così Paolo Mondani, Daniele Autieri, Luca Chianca, Giulia Innocenzi, Salvatore Walter Molino, Danilo Procaccianti, Emanuele Bellano, Giorgio Mottola e Claudia Di Pasquale, rappresentati dall'avvocato Roberto De Vita (ex legale di Ranieri Guerra, l'ex Dg della Prevenzione che contro Report aveva imbastito una battaglia su Covid e Piano pandemico) hanno scritto al procuratore Carlo Villani e all'aggiunto Ilaria Calò tramite i carabinieri - ne ha dato conto ieri il Fatto - invitando i pm a puntare su una delle inchieste di Report (allo stato non identificata) e sull'indipendenza e la libertà "di tutti noi" messa a rischio.
L'elenco dei servizi "modello Report" da valutare è sterminato: la mafia e le stragi del '92-93 costate la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Cosa nostra, piste nere e il ruolo dei servizi, la strage di Bologna, la latitanza e la cattura di Matteo Messina Denaro, la morte di Aldo Moro, Marcello Dell'Utri, l'ex capo dei Ros Mario Mori, gli omicidi Pio La Torre e Piersanti Mattarella, la Cina e il riciclaggio internazionale, i rapporti tra la 'ndrangheta e le curve di Inter e Milan, il caso Regeni, la morte di Fabrizio Piscitelli alias Diabolik, le armi trovate al Cantiere Vittoria di Adria (Rovigo), il voto di scambio in Liguria che ha disarcionato Giovanni Toti, la strage di Ustica, il caso Paragon e i giornalisti spiati, i processi contro Eni, la mafia pugliese il racket della macellazione, i guai giudiziari del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, le infiltrazioni di mafia, camorra e 'ndrangheta in Veneto, il Ponte sullo Stretto, i morti sul lavoro nelle Ferrovie, la gestione del patrimonio della Curia di Napoli, la vendita di diamanti nelle banche, la scalata di Mps su Mediobanca, i veri rapporti tra Report e l'agenzia milanese di spioni Equalize (nella quale si mette all'indice persino il Giornale), il caso Visibilia e Daniela Santanché, gli hotspot in Albania, il consorzio mafioso Hydra a Milano, i presunti rapporti tra l'ex Nar Luigi Ciavardini e Fdi, le inchieste su Totò Cuffaro in Sicilia, la caccia ai fondi Pnrr alla sanità, la vendita dell'ospedale Forlanini da parte del Vaticano, gli appalti per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026, le opere del Giubileo 2025 nel litorale romano tra Fiumicino e Pomezia.
Si tratta di una mole di ore di girato e materiale grezzo, interviste e documenti.
Quando confluiranno nell'indagine inevitabilmente si allungheranno i tempi di chiusura di una vicenda che, senza punti fermi, alimenta ancora i sospetti di una pista "politica" e l'agghiacciante ipotesi che dietro l'attentato ci possano essere i servizi segreti scatenati da Palazzo Chigi per alcune inchieste "scomode". Un limbo investigativo che sarebbe un oltraggio a Ranucci, peggiore di certe ambiguità costruite a tavolino solo per disarcionare il centrodestra per via giudiziaria.