La resistenza di un popolo

La foto simbolo della lotta ucraina: i cittadini di Energodar occupano la strada di accesso alla città per bloccare i tank russi. Zelensky: "Abbiamo da perdere solo la nostra libertà"

La resistenza di un popolo

Un popolo può essere un fiume di gente per strada e un uomo in maglietta davanti alla videocamera di uno smartphone. Un popolo quando lotta per la sua libertà ha risorse infinite e una penna con inchiostro interminabile per scrivere la storia.


Questo è un pezzo che parla di Ucraina, ma soprattutto degli ucraini. Parte da una foto potente, quella che vede sopra. Raffigura gli abitanti di Energodar, una città del Sud del Paese, a duecento chilometri da Kherson, ormai nelle mani dei russi. Energodar è la città che sorveglia il più grande reattore nucleare d'Europa. Secondo Wikipedia conta 52.887 abitanti e sembrano tutti in quella foto, bambini inclusi, vecchi nemmeno a dirlo, qualcuno ha una bandiera gialloblù, due colori che ormai ci hanno rubato il cuore. Tutti in fila per quanto? Un chilometro? Due chilometri. Stretti nei loro piumini, nel freddo dei due gradi centigradi, per opporsi all'invasione del nemico. Non ci schiaccerete tutti coi vostri carri armati, sembrano dire. Potrete uccidere tanti di noi, ma ne resterà sempre uno a farvi marameo.
Quell'uno potrebbe essere Volodymyr Zelensky, il comico che non fa più ridere ma che è l'icona della resistenza di un popolo a una guerra insensata che fa schifo anche a chi è costretto a farla.
Zelensky ieri si è affacciato ancora dalla sua finestra sul mondo del suo canale Telegram, dalla quale incita, scuote, cannoneggia. «Non abbiamo altro da perdere se non la nostra stessa libertà», urla di prima mattina raccontando un'altra notte di bombardamenti russi. «Ma le linee di difesa dell'Ucraina stanno resistendo. Il cambiamento nella tattica russa, prendere cioè di mira le aree civili, mostra che l'Ucraina è riuscita a resistere al piano di Mosca per una rapida vittoria tramite un assalto di terra. Siamo una nazione che ha infranto i piani del nemico in una settimana. Piani scritti per anni: subdoli, pieni di odio per il nostro Paese, il nostro popolo». Un odio che raggiunge vette impensabili: secondo il presidente di Kiev l'esercito russo avrebbe portato con sé «un forno crematorio» per bruciare i corpi dei propri soldati uccisi e «non doverli mostrare alle loro madri», ma soprattutto per ritoccare al ribasso il computo delle croci del cimitero degli aggressori. Poi un pensiero al dopoguerra: «La Russia risarcirà l'Ucraina per tutti i danni subiti. Ripristineremo ogni casa, ogni strada, ogni città».


L'ex comico oggi eroe ringrazia anche i suoi alleati occidentali che lo riforniscono ogni giorno di nuove arme per la resistenza. Anche se non basta, certo che non basta: Chiede una «no fly zone» sull'intero Paese perché «i russi bombardano anche le chiese» ma «se non siete nelle condizioni di chiudere lo spazio aereo sull'Ucraina, allora datemi aerei», supplica. E annuncia che «l'Ucraina sta già accogliendo i volontari stranieri che stanno arrivando nel nostro Paese. Il primo di 16mila». Ma gli amici devono fare di più, anche se «le sanzioni sono serie, rappresentano un buon inizio», perché «se l'Ucraina cade, la Russia si prenderà i Paesi Baltici e l'Europa orientale. Fino al muro di Berlino, credetemi». Resta la diplomazia l'unica carta: «Voglio un confronto con Putin. È l'unico modo per fermare la guerra». Zelensky si rivolge direttamente al suo collega: «Cosa vuoi da noi? Vai via dalla nostra terra.

E se non vuoi andartene, siediti con me al tavolo delle trattative. Sono disponibile. Ma non a 30 metri, come con Macron, Scholz. Sono un uomo normale, siediti con me. Di cosa hai paura? Non minacciamo nessuno, non siamo terroristi».

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