La rete africana che ha aiutato il «mostro» in fuga

Lucky Awelima, nigeriano fermato in stazione Centrale è sospettato di essere "il macellaio" che ha fatto a pezzi Pamela

La rete africana che ha aiutato il «mostro» in fuga

Milano - C'è chi obietterà che in campagna elettorale è la passerella più calcata e «comoda» per leader politici come il leghista Matteo Salvini o il sempreverde Riccardo De Corato (FdI), per molti interessati a farla rimanere un ghetto. Oppure che anziché sfruttare la ricchezza di etnie, culture, comunità e tradizioni estremamente diverse tra loro, si tenda ad affossarla definitivamente come l'area più pericolosa della periferia nordorientale di Milano. Un luogo dove imperano spaccio e case occupate da immigrati pronti a tutto, anche a ospitare pregiudicati e terroristi in transito, fuggitivi in cerca della quiete di un sicuro e anonimo rifugio in attesa che altrove si chetino le acque. Eppure anche per i nigeriani coinvolti a Macerata nella terribile fine della 19enne romana Pamela Mastropietro - uccisa con due coltellate all'addome prima di essere fatta a pezzi e gettata nelle campagne di Pollenza, nei pressi di Macerata - la «rete» di via Padova sembra essersi rivelata ancora una volta determinante.

Lucky Awelima, 27 anni, il nigeriano fermato venerdì mattina in stazione Centrale a Milano dai carabinieri della sezione «Catturandi», è sospettato dagli investigatori dell'Arma di Macerata di essere addirittura «il macellaio», cioè colui che avrebbe materialmente fatto a pezzi la povera Pamela. Ci sarebbero infatti elementi tecnici di riscontro a confermarlo e innanzitutto la compatibilità del suo telefono con le celle degli altri due indagati per l'omicidio, il 29enne Innocent Osaghale e Lucky Desmond, 22 anni, lunedì 29 gennaio proprio nell'abitazione di Osaghale. Fattore che, insieme ad alcune ammissioni fatte agli investigatori, inchioderebbero Lucky Awelima alle sue responsabilità.

Il 27enne nigeriano, che venerdì si trovava nella zona dei negozi della stazione con la moglie (estranea ai fatti) avrebbe avuto in programma di partire sabato mattina alle 7.10, sempre dalla Centrale per Chiasso. Da lì si suppone sarebbe passato in Germania per raggiungere la Svezia, luogo di «elezione» della maggior parte dei nigeriani che lì hanno una folta comunità.

Ma chi ha fornito supporto logistico a Awelima da quando (già: quando?) è arrivato a Milano? Venerdì ancora una volta è la cella del telefonino del nigeriano 27enne a indicare ai carabinieri di Macerata, che a loro volta avvertono immediatamente i colleghi milanesi, che l'uomo ricercato dalla Procura marchigiana si trova nei dintorni del principale scalo ferroviario del capoluogo lombardo.

Prima di arrivare all'interno della stazione, però, Awelima s'incontra con altre persone. Il suo telefono è intercettato infatti solo da pochi minuti dalle Marche, quando Awelima entra nello scalo. Attorno a lui ci sarebbero le celle di almeno altri tre telefonini, che confluiscono tutte in via Padova e aree limitrofe. Una volta lì, le celle spariscono all'improvviso, come se i telefonini fossero stati privati in maniera repentina della batteria o comunque distrutti in modo da impedirne l'individuazione.

Intanto Lucky Awelima viene bloccato dai carabinieri della «Catturandi». Il nigeriano spiega ai militari milanesi di essere in attesa di regolarizzare la sua posizione alla prefettura di Ancona come richiedente asilo.

Quando capisce però che non si tratta di un semplice controllo documenti, perde tutta la sua iniziale spavalderia e si chiude nel mutismo più totale. Non parlerà più per tutto il viaggio che lo riporta a Macerata, all'appuntamento cruciale con le sue colpe e la sua coscienza.

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