Rieccolo. C'è una foto che da sola segna un'epoca: Giancarlo Tulliani tiene in mano una canna dell'acqua e lava come fosse un giardiniere rustico la sua meravigliosa Ferrari blu notte. Siamo a Montecarlo, nell'agosto 2010, e il Cognato veste una polo blu extralarge rigorosamente griffata. Tulliani, il profilo ruspante e insieme sfrontato, è il prezzemolo di quell'estate che sarà devastante per Gianfranco Fini e il suo clan. Ma quelli sono ancora i giorni del successo, i fotografi lo immortalano in compagnia di una fidanzata altrettanto fashion, i giornali lo mettono dentro una cornice dorata: «Il fratellino rampante».
Rieccolo, il Cognato dopo le curve con vista sul Principato e i tornanti sempre più stretti sulla casa di Montecarlo, quella che l'ha mandato fuori strada. Il Tempo pubblica le carte di un processo per diffamazione in cui il fratello di Elisabetta, la compagna del leader di Fli, combatte al tribunale di Roma contro il precedente partner di lei, Lucianone Gaucci, altra maschera italiana. Quel mondo che si è squagliato riaffiora con tutta la sua corte dei miracoli. E Tulliani è lì che si arrampica verso la vetta. La bionda Elisabetta è legata sentimentalmente a Lucianone e può sciorinare un curriculum strepitoso: avvocato, ballerina, presidente della Sambenedettese, consigliere d' amministrazione del Perugia. Lui, nel suo piccolo, diventa dirigente della Viterbese. Gaucci è uno dei ras del football italiano e il cognato ha la sua provincia da amministrare. Ora, in aula, emergono squarci avvilenti di quel mondo o almeno così li ricostruiscono i legali di Gaucci: «È a conoscenza che in una circostanza è stata ascoltata una registrazione in cui lei proponeva al direttore sportivo della squadra Ernesto Talarico di vendere i calciatori ad un prezzo diverso da quello ufficiale?». Insomma, la vita è meravigliosa e il giovanotto avrebbe cercato di fare la cresta sul calciomercato. Lui replica con una parola: «Falsità».
Menzogne per screditarlo. Così come avrebbe fatto l'entourage del Cavaliere nel secondo tempo della resistibile ascesa, quando Tulliani cambia in corsa cognato: da Gaucci a Fini, forse meno ingombrante ma certo ancor più noto e potente: «Mio cognato ha avuto l'ardire di dissentire dal signor Berlusconi». Da lì i guai e lo scandalo a puntate della casa di Montecarlo: «Hanno fatto di tutto, con mezzi leciti e illeciti, per distruggermi. Mi hanno dipinto come un mostro». Lucianone e Silvio gli hanno rovinato la piazza. Peccato, perché al meglio non c'è fine è la liason di Elisabetta con Gianfranco è l'occasione per un ulteriore upgrade. Il Cognato, anzi il due volte cognato o bicognato, trova casa in rue Princesse Charlotte non a Torbellamonaca. Così, all'apice di quella stagione gloriosa, lui pattina sulla lama sottile sottile della spavalderia: fa l'immobiliarista ma ha il vezzo di voler sbancare da produttore televisivo. Del resto tutto si tiene: Elisabetta non è più una dama di provincia, ma una signora della capitale con pass per i sette colli e i Bocchino, i Briguglio, i Granata, a Mirabello, fra ravioli di zucca e Lambrusco, vagheggiano i nuovi confini, extralarge pure quelli, di una destra europea e illuminata.
E una partita affascinante ma è anche un'ubriacatura di gruppo.
Pazienza. Il bicognato vola fino alla caduta verticale. E alla collisione con il suo stesso mondo.
Un atterrito Guido Paglia, potente ex dirigente Rai di matrice finiana, è costretto a sorbirsi le sue sparate velleitarie e le sue rimostranze per aver concesso «altre attenzioni a Barbareschi e alla moglie di Bocchino» e alla fine perde le staffe: «Gli dissi di ringraziare Iddio perché non eravamo a casa mia, altrimenti gli avrei messo le mani addosso».
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