L' altro ieri ho incontrato brevemente il governatore della Lombardia Attilio Fontana, appena uscito dalla quarantena volontaria in cui si era ritirato in seguito al contagio di una persona del suo staff. In realtà non ha mai smesso di lavorare e la prova ce l' ha scolpita in faccia, mai vista così tirata e stanca. Contare ogni giorno infettati e morti non deve essere un bel mestiere, soprattutto se parliamo di persone il cui destino era ed è affidato alle tue scelte, oltre che alla bravura dei medici. Fontana ogni giorno da tanti giorni - deve scegliere: mettiamo a rischio una vita oppure la sopravvivenza di un' azienda, una bottega o un negozio, che pure non sono entità inermi, vivono e fanno vivere, hanno storie e progetti non diversi, essendo state fatte da uomini, da quelli degli esseri umani.
Lui ha deciso, si è messo la mascherina in diretta tv e ha scelto gli uomini: salvare prima i lombardi per salvare poi la Lombardia e le sue aziende. Si è battuto come un leone, cosa secondo i più impensabile e infattibile, per chiudere prima e sigillare poi la sua regione. E oggi non l' opinionista di turno più o meno improvvisato e saccente, ma l' Organizzazione mondiale della sanità certifica che aveva ragione lui. Il coronavirus è pandemia. Lo hanno deriso, Fontana, per quella mascherina goffamente indossata. Quella mascherina è stata invece il segnale incompreso, non serviva a proteggere lui, che comunque era protetto e al sicuro, ma tutti noi che ancora vagavamo scettici e incoscienti.
Se non pochi miei colleghi avessero un minimo di onestà intellettuale, oggi dovrebbero piovere le scuse. Noi non ci siamo mai uniti al coro, ma qualche dubbio l' avevamo covato e tanto basta per fare mea culpa: la Lombardia come tutte le regioni del Nord è in ottime mani e dobbiamo fidarci.
Le grandi aziende lombarde stanno mettendo in sicurezza, fuori dalle sedi di lavoro, le loro prime file di direttori e manager per garantire, qualsiasi cosa accada, la catena di comando e decisionale.
Però è così.
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