Nessun «depauperamento» dell'Ilva per portarla al fallimento. Al contrario la famiglia Riva, quando era alla guida del gruppo siderurgico omonimo, ha condotto operazioni compatibili con la situazione del mercato. Difficile anche accusare gli ex proprietari delle acciaierie di Taranto di non avere pensato all'ambiente, visto che investirono direttamente un miliardo di euro, più altri tre destinati all'ammodernamento degli impianti.
Fabio Riva è stato assolto in rito abbreviato dall'accusa di bancarotta fraudolenta per una «totale carenza del compendio accusatorio». L'esito del processo è noto da sei mesi (la sentenza è del 6 luglio) ma ieri - nello stesso giorno della decisione del Tribunale del Riesame che ha rimandato lo spegnimento dell'Altoforno 2 - il Gup di Milano Lidia Castellucci ha depositato le motivazioni, che smontano le tesi dell'accusa, sulla base delle quali era stato peraltro negato anche un tentativo di patteggiamento da parte della famiglia.
A carico dell'ex proprietario del gruppo siderurgico omonimo, si legge nel passaggio chiave delle 127 pagine di motivazione, «non sono emersi elementi per affermare la sussistenza delle consapevolezza di porre in essere un abuso o un'infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta ovvero un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico-finanziaria dell'impresa accompagnata dall'astratta prevedibilità del dissesto».
In sintesi, non c'è stata la volontà di provocare la bancarotta del gruppo. Il dolo comprende «la prevedibilità e l'accettazione del dissesto» come effetto dei propri comportamenti. Non è il caso della gestione Riva.
Il riferimento del magistrato di Milano è a un'operazione precisa (la scissione tra Ilva e Riva Fire) che secondo l'accusa era destinata al fallimento, ma che secondo il giudice per l'udienza preliminare «appariva funzionale, alla luce del mercato siderurgico e del mutato potere contrattuale coi produttori di materie prime, a porre le basi per alleanze strategiche con soggetti terzi, in un momento in cui vi erano segnali di ripresa».
La sentenza riguarda reati economici. Un altro ramo dell'inchiesta fa capo alla procura di Taranto e riguarda reati ambientali (per i quali Fabio Riva era stato già assolto). Ma nelle motivazioni dei giudici milanesi fa capolino anche la questione ambientale.
Da parte della famiglia Riva, secondo il Gup Castellucci, non si è verificata «una sistematica omissione delle tutele ambientali e sanitarie, tali da determinare, una volta scoperta dalle autorità competenti, l'impossibilità di prosecuzione dell'attività, in quanto i costi da sostenere per adeguare lo stabilimento di Taranto alle normative sarebbero stati di ampiezza tale da non poter essere affrontati».
Nella motivazione della sentenza si spiega anche che non è possibile sostenere la tesi di «una mancanza di investimenti» visto che il gruppo «a partire dal 1995 e fino al 2012 ha sostenuto costi in materia di ambiente ammontanti a oltre un miliardo di euro, di cui la maggior parte a partire dal 2007 proprio al fine di ottenere il rilascio» della Autorizzazione integrata ambientale. Poi «più di tre miliardi per l'ammodernamento e la costruzione di nuovi impianti».
Il passo successivo dopo il deposito della sentenza del processo in rito abbreviato, è la decisione della Procura che a questo punto potrebbe decidere se ricorrere in appello.
Se non succederà diventerà possibile la revisione del giudizio su Nicola Riva, fratello di Fabio, che aveva scelto la strada del patteggiamento a tre anni. Nessuna revisione per il padre Adriano Riva, che è deceduto nel maggio scorso prima dell'assoluzione del figlio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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