Una rivincita coi baffi: alla fine è D'Alema che rottama Renzi

Dopo battibecchi e tensioni il grande vecchio si gode la sconfitta del premier nella sua città

Una rivincita coi baffi: alla fine è D'Alema che rottama Renzi

Q uando si dice nemesi. La vendetta della storia sforna il piatto più succulento che potesse attendersi: il Rottamatore rottamato dal Principe dei rottamati. Renzi battuto sonoramente nella città dove il suo predecessore Massimo D'Alema era stato, prima della calata del barbaro, Ottavo re.

Se per il Pd quella della Capitale è stata una caduta nel vuoto, più che la sconfitta preventivata da mesi, per Matteo Renzi l'umiliazione subita a opera dei Cinque Stelle rischia di essere un inizio di una catastrofe che investirà in pieno anche la campagna d'ottobre sul referendum. Sono le proporzioni della disfatta pidina contro i Cinque Stelle a impensierire, e il concretizzarsi dell'alleanza anti-Renzi tra elettori di centrodestra e grillini. Il «marchio», quello di Renzi, non solo non tira più come una volta, ma sembra essere diventato penalizzante. A poco valgono, in tal senso, le assunzioni di responsabilità nella sconfitta da parte di Giachetti e Fassino. Se la caduta di Torino è stata un'amarissima sorpresa, a Roma il miracolo era già stato quello di ritrovarsi al ballottaggio grazie alle divisioni del centrodestra. Non a caso lo stesso D'Alema, dopo la pubblicazione degli articoli che lo descrivevano intento a complottare contro Giachetti, aveva reagito insistendo soprattutto su questo, ormai diventato una specie di segreto di Pulcinella: «Cercano il capro espiatorio della sconfitta». Lui, l'ex leader inviso a Renzi, aveva comunque vissuto questo «gioco al massacro» come l'ultimo degli schiaffi subiti. Così ieri, andando a votare nel seggio del quartiere Prati, l'ex leader appariva ancora contrariato: «Ho votato come sempre nella mia vita, secondo le indicazioni del mio partito», garantiva con puntiglio, spiegando ancora una volta come la polemica nata da indiscrezioni di Repubblica fosse stata «una montatura costruita un po' dal giornale e un po' da qualcuno all'interno del mio partito». Quel qualcuno è naturalmente il segretario, non a caso sparito dalla circolazione nella tumultuosa vigilia del voto.

Se ora si apre un periodo tremendo per il Pd romano, cui le cure del commissario Orfini sembrano aver fatto più male che bene, i riflessi della sconfitta investono direttamente la gestione al Nazareno e Palazzo Chigi. Nella sua nota ufficiale, dando appuntamento per la Direzione del 24 giugno, il Pd ammette le «sconfitte nette e senza attenuanti a Torino e Roma» e quelle «dure» di Novara e Trieste, ma cerca conforto dalle vittorie «chiare e forti» di Milano e Bologna. Il quadro nazionale, si dice, «è invece molto articolato». È chiaro che ora si dovrà correre ai ripari, reagire al ringalluzzirsi della minoranza interna.

Occorre cambiare strategia, a partire da quella personalizzazione del referendum che può diventare addirittura la fine di tutto, con il ritiro dalla scena pubblica dell'ex sindaco di Firenze. Ci aspetta una lunga partita di poker: dopo i bluff, chissà se Matteo serba pure il quinto asso nella manica.

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