
Da novembre l'impresa compiuta ieri era stata programmata, perché altrimenti Israele avrebbe pagato con la vita. Sarebbe stata la continuazione in grande del 7 ottobre, 9 bombe atomiche erano pronte, migliaia di missili balistici le aspettavano per trasportarle fino a distruggere la piccola patria ebraica. La svolta è stata veloce, ma la direzione, le bugie, lo stile, erano evidenti da anni. Chi conosce l'Islam sa che non può rinunciare al suo compito escatologico con una trattativa politica, nemmeno con Trump. Proprio come la prodigiosa operazione che vinse la Guerra dei Sei Giorni, sapendo che questa era la scelta di fondo di Egitto e Siria, fu costruita in anni di preparazione da parte dell'esercito e del Mossad, anche stavolta si è costruito l'attacco nei più minuti particolari finché ieri si è imposto l'intervento immediato, anche perché come sempre sono anche le occasioni che spingono ad agire. L'allenamento non è stato solo tecnico ma del cuore e dell'anima per affrontare l'inaffrontabile a più di 2mila chilometri.
In quella terra nel 2006 il presidente Ahmadinejad, che univa all'oppressione bestiale del suo popolo il progetto mistico sciita di distruggere il popolo ebraico e dominare il mondo, come annunciò ispirato anche all'Onu, organizzò la mostra internazionale dei fumetti comici sulla Shoah e poi con conferenza internazionale per certificarne l'inesistenza. Era la benedizione culturale dei miliardi, alla faccia del popolo iraniano affamato, andati nella costruzione dell'arma definitiva per distruggere gli ebrei; intanto si costruiva l'anello di acciaio per stringere Israele sui confini e nelle sue strade col terrore. Le folle schiavizzate dal regime hanno gridato ogni giorno «morte a Israele», Hamas ha ricevuto i piani e le armi per il 7 ottobre, Hezbollah i missili e la vita stessa, nel mondo si è esportato da Teheran l'odio gli ebrei nelle strade, nelle università.
Se ancora qualcuno in un mondo inquinato dalla menzogna contro Israele è capace di capire la verità, dopo l'attacco su Teheran si apre una fase nuova, un respiro di buon senso, il male ha trovato chi gli dà battaglia. Gli amici iraniani che, come molti da loro, hanno un buon rapporto con gli ebrei ringraziano e sperano che si tratti finalmente della fine del più crudeli e liberticida fra i regimi odiatori di donne e dissidenti, e assassini di omosessuali. Fino al 1979 non c'era stata questione sul rapporto di quel Paese multietnico e il popolo ebraico: Khomeini già da Parigi, fondando la teocrazia, decise di trovare un alleato nella parte comunista antisemita e antiamericana definendo Israele «uno stato coloniale imperialista»; sia Ali Khamenei sia Rafsanjani hanno ripetuto la decisione di distruggere Israele come partner della «arroganza globale dell'America». Netanyahu ha spiegato che da novembre è stato evidente che a lato dei colloqui con Trump, su una linea parallela che ignorava ogni trattativa, come con Obama, il regime arricchiva l'uranio nel sogno di dominare non solo Israele, ma il mondo con un'atomica in mani fanatiche portando finalmente il Mahdi a dominare il mondo.
Abbiamo avuto il 7 ottobre, ma adesso siamo al 13 giugno: nel 2023 la data della macelleria dei kibbutz del Sud ha fatto esclamare che lo Stato degli Ebrei era finito. Hamas ha indicato la strada della strage programmata, del genocidio, poi con la sconfitta degli Hezbollah e la cacciata di Assad le cose hanno cominciato a rovesciarsi. Adesso l'incredibile capacità di Israele di combattere per la propria salvezza con una decisione indipendente, autonoma, con una sorpresa conservata nonostante gli occhi puntati, restituisce a questo piccolissimo Paese il suo orgoglio miracoloso. Gli amici sono tanti in Medio Oriente, qualsiasi cosa possano mugugnare ora a beneficio delle loro opinioni pubbliche. Ma in Occidente, in Europa, davvero si capisce che terribile feroce individuo potesse essere il capo delle Guardie della rivoluzione Hussein Salami? Quanto deve aver tormentato il suo popolo coi suoi ordini crudeli oltre a perseguitare Israele senza ragione?
Trump ha mostrato senso della realtà: «Ci ho provato finché ho potuto, l'Iran ha rifiutato, Israele mi ha avvertito e io a mia volta ho avvertito qualcun altro». Facile immaginare che si tratti dell'Arabia Saudita, e forse di altri aspiranti ai patti di Abramo.
Ci siamo svegliati in mezzo alla notte, la richiesta stavolta è di stare pronti più del solito, di scendere di due piani in basso. Non ci sono guerre senza prezzo.
Ma questa guerra potrebbe essere quella che se starà forte, e gli americani sono con noi, tramite o una nuova trattativa molto decisa di Trump, o con una prosecuzione di cui possiamo intuire ancora poco, porti a una pace che dice: è finito il tempo di aggredire Israele e per Israele di combattere ogni giorno per sopravvivere. Si chiamerebbe pace.