Coronavirus

La rivincita della Lombardia

È una data strana, quasi clandestina, quella con cui la Lombardia celebra la sua festa.

La rivincita della Lombardia

È una data strana, quasi clandestina, quella con cui la Lombardia celebra la sua festa. Perché, diciamoci la verità, quella battaglia di Legnano con cui il 29 maggio del 1176 i Comuni uniti nella Lega lombarda le suonarono all'esercito imperiale di Federico Barbarossa, non è una di quelle pagine di storia che scaldano l'animo dell'inetro stivale. E, invece, c'è riuscito il governatore Attilio Fontana che, dopo le durissime giornate di assedio della sinistra oltre che del virus, ieri ha pure dovuto incontrare in campo aperto i magistrati di Bergamo per spiegare loro che se c'è un governo con esercito e forze di polizia, il compito di sigillare una zona rossa spetterà pure a lui. Evidentemente riuscendoci, se i pm dopo averlo sentito hanno dovuto dare ragione al suo lavoro. E così ieri è stata ancor più la festa dell'orgoglio lombardo. Ritrovato dopo giorni di attacchi continui di una sinistra con la bava alla bocca e consegnato a Fb con un messaggio proprio mentre il Pd soffiava sul fuoco della solita manifestazione di urlatori assembrati alla faccia del Covid sotto Palazzo Lombardia. «Il maledetto virus ha portato via mamme, papà, fratelli e amici, ha cambiato e segnato indelebilmente la vita di tutti noi e la storia della nostra regione. Troppe persone parlano senza aver capito quale ferita, qui, sia stata inferta», il cuore del messaggio con cui Fontana ha deciso di trasformare quella di ieri in una «Giornata del ricordo». Perché in troppi hanno già dimenticato le ore nelle quali ai pronto soccorso lombardi arrivavano centinaia, anzi molte centinaia di persone al giorno con la «fame d'aria». Parole fin troppo dolci, usate dai medici per indicare persone che stanno soffocando. Sì, soffocando. La morte forse più atroce che possa toccare in sorte. Momenti nei quali sui giornali si scriveva dell'ipotesi per nulla remota che presto sarebbe toccato ai medici scegliere chi far vivere in un letto di terapia intensiva e chi far morire su una barella in corridoio. In un rito spartano e per nulla ambrosiano della sanità. Per questo pesano ancor di più i processi di piazza a cui si assiste in questi giorni con una sinistra che non di aria, ma di potere ha smisurata fame. Tara genetica portata nel suo Dna, ma che diventa intollerabile quando di mezzo ci sono la salute e le morti. Ed è per questo che a colpire sono le parole di Fontana che forse per un giorno riscopre il suo talento di avvocato. Perché quello di persona e politico per bene non lo ha mai smarrito. «Lo tsunami che ha travolto la nostra terra ci ha colpito per le nostre più grandi qualità: siamo una grande comunità, sempre in movimento e al lavoro, accoglienti e punto di riferimento internazionale». Non solo. «Abbiamo combattuto da lombardi a testa bassa, senza lamentarci, principalmente con le nostre risorse e le nostre forze. Ma abbiamo anche accettato l'aiuto di chi dall'Italia e dall'estero è venuto a lottare insieme a noi.

E noi non smetteremo mai di ringraziare».

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