Ciò che era stato adombrato a fine agosto, con la pubblicazione della sintesi del rapporto Onu sui Rohingya, ora è spiegato nei (crudi) dettagli. Donne legate per i capelli o per le braccia ad alberi e poi stuprate, bambini ricacciati dentro le case in fiamme, mine piazzate in corrispondenza delle vie d'uscita dei villaggi. E ancora, torture con bastoni di bambù, sigarette e cera bollente e uccisioni indiscriminate. Le 440 pagine stilate da una commissione ad hoc, e presentate ieri in versione integrale all'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sono un primo tentativo di raccontare gli abusi sulla minoranza musulmana e su altri gruppi etnici residenti nel Myanmar per mano dell'esercito birmano, il Tatmadaw, accusato dall'Onu di «genocidio». Il Paese guidato dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi ha rimandato le accuse al mittente, sostenendo che il rapporto non sia oggettivo perché basato sulle testimonianze dei rifugiati e delle Ong attive sul territorio, anche se è stato proprio il governo birmano a vietare l'accesso al Paese ai commissari internazionali.
«Non mi sono mai trovato davanti a crimini così orrendi e su scala così vasta», ha detto Marzuki Darusman, capo della missione. Lui e i suoi uomini hanno speso 15 mesi a tentare di ricostruire l'escalation di violenze, concentrata soprattutto nelle regioni di Rakhine, Shan e Kachin. Violenze che hanno raggiunto l'apice nell'agosto del 2017, dopo che alcuni militanti Rohingya hanno attaccato con coltelli e piccoli ordigni le postazioni della polizia birmana. A quel punto è scattata l'operazione di pulizia etnica, che ha portato oltre 700mila membri della comunità a fuggire in Bangladesh (e più di 1.700 stanno ancora attendendo di attraversare il confine). Stime molto precarie parlano di 10mila persone uccise solo tra agosto e settembre del 2017. Tra i crimini più «oltraggiosi e frequenti», come si legge nel documento, ci sono gli stupri. Testimoni oculari hanno parlato di ragazze e donne nude che cercavano di fuggire tra la foresta e di villaggi disseminati di cadaveri con «grandi quantità di sangue visibile tra le gambe». A proposito degli insediamenti, sono circa 400 quelli rasi al suolo. Ma gli investigatori delle Nazioni Unite non hanno risparmiato critiche nemmeno ai loro colleghi presenti in Myanmar, sostenendo che si sia preferito dare priorità allo sviluppo e all'accesso dei gruppi umanitari al Paese piuttosto che badare ai diritti umani. Contestato anche Facebook, accusato di aver contribuito alla diffusione di disinformazione e hate speech.
Alla luce del rapporto, l'Onu ha proposto che i leader delle forze armate birmane siano processati per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Sostiene poi che l'esercito vada posto sotto il controllo civile, privato della quota di parlamentari che ha la facoltà di nominare (un quarto del totale) e, se necessario, totalmente dissolto e ricostruito.
Ma per la minoranza i timori non finiscono qui.
Il Bangladesh, dove molti di loro sono fuggiti, è pronto a trasferire una sessantina di famiglie - ma l'obiettivo è raggiungere le 100mila persone - in un isolotto remoto e al momento disabitato del Golfo del Bengala. Nonostante i gruppi umanitari abbiano già denunciato l'esposizione a inondazioni e uragani che lo renderebbero inadatto alla vita.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.