La storia è fatta anche di monumenti. Statue che vengono abbattute alla fine di un regime, come accadde a Mussolini, a Stalin, a Lenin e a Saddam Hussein, in quest'ultimo caso a favore di telecamera. Statue su cui scoppiano guerre sante, come sta accadendo in questi mesi negli Stati Uniti, dove attorno ai monumenti che raffigurano gli eroi sudisti da molti ritenuti postumamente impresentabili si sono scatenate guerriglie in molte città che hanno provocato anche la morte di un manifestante a Charolottesville, in Virginia. O dove si sta pensando di far scendere dal piedistallo niente di meno che Cristoforo Colombo, accusato cinque secoli abbondanti dopo la scoperta dell'America di essere stato - ohibò - razzista. Statue semplicemente brutte, inopportune, inutili, insignificanti, ennesima prova del fatto che la celebrazione monumentalistica si ritorce a volte su chi la fa.
E statue sbagliate, poi. Come quella commissionata dal governo russo allo scultore Salavat Sherbatov (e costata la bellezza di mezzo miliardo di dollari) per celebrare la grandezza militare della Russia attraverso uno dei suoi simboli più controversi, il fucile mitragliatore che prende il nome dal suo inventore, il generale Mikhail Kalashnikov.
Ora, già tessere le scultoree lodi di uno spietato strumento di morte è una scelta quantomeno discutibile, sulla quale peraltro pare che Vladimir Putin non abbia avuto esitazione alcuna. Ma sbagliare il mitragliatore mettendo in mano al soldato raffigurato nel monumento un fucile prodotto dal grande nemico tedesco, è una gaffe imperdonabile, quasi una nemesi. Lascia stare le armi, possono far molto male.
Eppure è proprio così. La statua alta dieci metri inaugurata martedì scorso al centro di Mosca alla presenza dello stesso Putin, reca uno strafalcione madornale. Che non riguarda il monumento vero e proprio, nel quale lo stesso Kalasnikov imbraccia orgoglioso e micidiale il suo Ak-47, ma il piedistallo, dove figura lo StG-44 (sigla della parola Sturmgewehr, più o meno «arma tempesta», e dell'anno di entrata in servizio dell'arma, il 1944), che del kalashnikov (il fucile) è una sorta di prototipo, di produzione però tedesca. Fu infatti ideato nel 1942 dal progettista tedesco Hugo Schmeisser, il quale poi, tre anni dopo, catturato alla fine della Seconda Guerra mondiale dai sovietici a Berlino e trasferito in Russia per lavorare nell'industria delle armi, fu costretto a collaborare a lavorare con Kalashnikov (l'inventore) alla progettazione di un fucile automatico e riversò molte delle caratteristiche della sua creatura tedesca in quello che sarebbe diventato l'Ak 47. Quindi non solo verrebbe celebrata l'industria militare tedesca, ma si alimenterebbe anche il sospetto che i russi abbiano scopiazzato i loro carissimi nemici.
Il particolare (si fa per dire) era passato inosservato fin quando, tre giorni dopo l'inaugurazione, ci ha messo gli occhi lo storico Yuri Pasholok, che non ci è andato giù piano: «Non ditemi che è stato un incidente: uno dovrebbe essere picchiato pubblicamente e dolorosamente per una cosa del genere!», ha scritto Pasholok su Facebook. Scherbakov ha ammesso l'errore (e ci mancherebbe altro) ma si è difeso come uno scolaro sorpreso a copiare male: ha raccontato di aver scaricato l'immagine del fucile su internet, a suo dire seguendo le indicazioni di (presunti) esperti. «Se abbiamo fatto un errore lo correggeremo», ha detto. E dopo poche ore dallo scoppio della polemica il fucile sbagliato è stato rimosso. Per la sostituzione con il «vero» kalashnikov bisognerà aspettare invece domani.
Qualcuno, malizioso, ricorda come Scherbakov sia
stato già protagonista di una gaffe simile, quando tre anni fa mise in mano a un soldato, scolpito in marziale bronzo mentre saluta la sua donna prima di partire per il fronte, un Mauser 98. Come si dice recidivo in tedesco?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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