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Ryan, rugby sotto choc. "Io demente a 41 anni. La mia vita va in pezzi"

Jones, ex capitano del Galles, fa causa alla federazione. "Non posso essere un papà felice"

Ryan, rugby sotto choc. "Io demente a 41 anni. La mia vita va in pezzi"

Povero Ryan, supereroe che dimenticherà di esserlo stato. Il destino è segnato: demenza senile precoce, diagnosticata qualche mese fa, all'età di nemmeno quarantuno anni. E una delle peggiori mai viste, gli hanno detto i medici.

Ryan Jones è stato uno dei giocatori di rugby più rappresentativi del Galles, ha indossato 75 volte la casacca rossa della nazionale nell'arco di dieci anni, anni in cui ha vinto tre volte il Grand Slam, ovvero il Sei Nazioni senza nemmeno una sconfitta: nel 2005, nel 2008 e nel 2012, le ultime due volte da capitano. È un colosso di 196 centimetri e - quando giocava - 114 chili. Una montagna di fragilità. «Sento che il mio mondo sta crollando - racconta al Sunday Times -. E sono molto spaventato. Ho tre figli e tre figli della mia compagna e vorrei essere un padre fantastico».

Ryan si è ritirato dal rugby nel 2015. In quel momento e per tutto il periodo successivo soffrì di una forma di depressione che - poi si scoprirà - non era una causa bensì il sintomo di un problema ben più serio. Nel frattempo Ryan perdeva in giro pezzi della sua vita, dimenticava cose e ricordi, non riconosceva persone familiari. Anche la sua partner Charlotte prese a notare dei cambiamenti in lui. C'era qualcosa di grosso che stava accadendo. E questa cosa, si scoprirà, si chiama CTE, encefalopatia cronica traumatica, una forma di demenza che ha bussato alla porta di Ryan con trenta, quaranta, cinquant'anni di anticipo.

Il rugby è una brutta bestia bellissima. I colpi si prendono e si danno ma la vita è un avversario molto più sleale di quello di giornata e mette a referto tutto, altro che terzo tempo. Al punto che nove ex giocatori di alto livello - tra i quali Ryan - hanno fatto causa alle organizzazioni che governano il rugby mondiale, e World Rugby sta timidamente mettendo in atto procedure che limitino i danni al cervello per i giocatori.

Ryan paga ora la gloria di quindici anni ai massimi livelli con la condanna di scomparire ogni giorno un po', diventando qualcosa di diverso da quel ciclone che il mondo della palla ovale scoprì il 18 giugno 2005, quando praticamente da solo portò i British&Irish Lions, una selezione interbritannica per cui giocava per la prima volta, a battere gli Otago a Dunedin, in Nuova Zelanda. Un diavolo biondo che adesso si accontenterebbe di pareggiarle, le partite, anziché di vincerle. «Vorrei solo condurre una vita felice, sana e normale, ma sento che mi è stata portata via e non c'è niente che io possa fare. Non posso più allenarmi, non posso fare l'arbitro, non so più quali siano le regole del gioco».

La cosa più brutta per Ryan sono i «buchi neri», momenti in cui le facoltà cognitive di Ryan evaporano al punto che nemmeno riesce a parlare, a spiegare le sue emozioni, la sua frustrazioni. Sono lunghe fasi di lotta, di rabbia, di angoscia che durano all'incirca 36 ore ma che con il tempo potrebbero protrarsi. «Sono terrorizzato, non so se nel giro di due anni questi episodi dureranno una settimana, due settimane o diventeranno uno stato permanente».

Povero Ryan, eccolo il tuo avversario, ha la maglia nera e non riuscirai a placcarlo. È sempre più vicino e ti travolgerà.

E tu nemmeno ricorderai perché.-

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