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Sánchez, Letta e l'ossessione della destra

In un discorso al Parlamento iberico il premier spagnolo attacca Abascal per i rapporti con Salvini, Le Pen e Putin. Ma l'immagine dell'Ue nella guerra in Ucraina la sta salvando la destra

Sánchez, Letta e l'ossessione della destra

Aprire le scommesse sarebbe insensato perché persino il più scemo dei bookmakers sarebbe certo del risultato: nei prossimi anni, forse decenni, le campagne elettorali dei leader di mezzo mondo si baseranno sui paragoni tra i propri oppositori politici e Vladimir Putin.

Una cantilena che è già iniziata, del resto. Al festival della retorica si è iscritto il premier spagnolo Pedro Sánchez, che in un discorso nel parlamento spagnolo rivolto al leader di Vox, Santiago Abascal, ha menzionato Putin come sostenitore di politici con cui l'astro nascente della politica spagnola ha intrattenuto rapporti, come Matteo Salvini o Marine Le Pen. Per una sorta di proprietà transitiva che di spessore politico ha ben poco, Sánchez ha messo tutti nel calderone sostenendo che ciò che questi leader desiderano sono "governi autoritari in Europa".

"Se in Italia governasse Salvini, in Francia Le Pen, e voi aveste qualche responsabilità di governo in Spagna, sarebbe la morte dell’Europa - ha aggiunto -. Ma questo non succederà, né la Spagna né l’Europa permetteranno che voi e i vostri movimenti politici governiate in Europa, l'Ue prevarrà e non ce la farete né lei, né Salvini, Le Pen, o Putin".

Un ragionamento talmente brillante e profondo da essere subito rilanciato da un altro campione di qualunquismo, il segretario del Pd Enrico Letta, che ha twittato: "Con quello che sta succedendo, con l’invasione russa, cosa sarebbe dell'Europa oggi se Salvini, Le Pen e Abascal fossero a capo dei governi in Italia, Francia e Spagna?"

Non possiamo proprio saperlo, visto che il nesso tra le due cose ce lo vedono solo loro. Anzi. Se per i politici progressisti essere di destra equivale ad essere pericolosi autocrati filoputiniani, forse dovrebbero riguardare un po' più da vicino la foto storica del vertice di Kiev di martedì sera a cui hanno preso parte i premier di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, Morawiecki, Fiala e Jansa. Cos'hanno in comune tutti e tre? Già, che sono esponenti politici di destra. Il primo, tra l'altro, col suo partito, PIS, è da sempre fortemente eurocritico. Il secondo guida il Partito Democratico Civico, una formazione (che milita nell'ECR, lo stesso gruppo europeo di Fratelli d'Italia) fondata dal padre degli euroscettici Václav Klaus. Il terzo, col suo Partito Democratico Sloveno, che a dispetto del nome è anch'esso di destra è, come molti partiti dei Paesi che hanno conosciuto il dramma della dittatura rossa, fortemente anticomunista.

Ed eccoli lì, i pericolosi nazionalisti nemici dell'Europa, gli unici ad essere saliti su un treno di loro spontanea volontà ed essere giunti in una capitale assediata dalla guerra tra i mugugni degli altri membri del Consiglio d'Europa. Ciò che Sánchez, Letta e compagnia dimenticano sempre è che la critica ad alcune delle impostazioni politiche, burocratiche, sociali ed economiche di Bruxelles non significa voler distruggere la politica del Vecchio Continente. Al contrario, la crisi in Ucraina mostra che nel giro di pochi giorni l'Unione Europea, totalmente impreparata, ha dovuto rivedere tutti i suoi capisaldi, dalla politica estera fallace al finto pacifismo, dalle assurde norme che facilitano l'immigrazione clandestina (a novembre al confine con la Bielorussia ci fu il primo atto di una guerra che oggi si combatte con le armi, ma ieri si combatteva con i profughi) all'incapacità di elaborare in autonomia politiche importanti come quella energetica.

Nemmeno di fronte alla guerra e alla distruzione la sinistra riesce ad imparare delle lezioni.

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