Safari di guerra a Sarajevo. Indagine choc sugli italiani

Fascicolo su chi negli anni '90 pagava per uccidere civili per gioco, sparando dalle colline in mano ai serbi

Safari di guerra a Sarajevo. Indagine choc sugli italiani

Bambini ammazzati per divertimento, macabri safari di guerra nel cuore dell'Europa ferita dall'odio tra serbi, bosniaci e croati, cristiani e musulmani, cacciatori di uomini e innocenti. A quasi trent'anni dal massacro di Sarajevo, il più lungo della storia moderna durato dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 e costato la vita a 11.541 civili (tra cui 1.601 bambini), c'è un documentato esposto firmato dallo scrittore e giornalista Ezio Gavazzeni che ha convinto la Procura di Milano ad aprire un fascicolo contro ignoti per rintracciare chi tra i nostri connazionali avrebbe pagato anche l'equivalente di 100mila euro di oggi per sparare sugli abitanti di Sarajevo dai grattaceli e dai palazzi anneriti dalle bombe del famigerato "viale dei cecchini" di Grbavica, la zona serba tagliata in due dal fiume Miljacka in cui spadroneggiava il feroce Veselin Vlahovic detto Batko, il killer condannato a 45 anni per crimini contro l'umanità su ordine dei criminali di guerra Radovan Karadzic e Ratko Mladic. Secondo il prezziario donne e vecchi sarebbero stati gratis, i bambini erano i più cari.

Tra quei tiratori scelti a sparare in quei 1.425 lunghissimi giorni di continui bombardamenti su una città senza acqua, senza luce e senza cibo in cui morì la convivenza pacifica centenaria tra musulmani, cristiani ed ebrei - ne sarebbe sempre più convinto il pm specializzato nell'Antiterrorismo Alessandro Gobbis - c'erano anche alcuni italiani. Arrivavano in mimetica da Triveneto, Piemonte o Lombardia, su pulmini partiti e tornati in 72 ore che attraversavano i check point sia in Croazia sia in Bosnia, quasi indisturbati, con la scusa della "missione umanitaria" e qualche generosa mazzetta per i loro Safari a Sarajevo. Un orrore ben raccontato nell'omonimo film del 2022 - disponibile solo su Al Jazeera e basato sulla testimonianza di tre persone scampate al fuoco incrociato dei cecchini durante il conflitto e numerosi spezzoni girati a Sarajevo sotto assedio - che documenta l'odio serbo nato dopo la decisione della Bosnia Erzegovina di voler dichiarare via referendum l'indipendenza dalla Jugoslavia del macellaio Slobodan Milosevic, dopo Slovenia, Croazia e Macedonia.

Oggi che il Paese è sempre più vicino all'ingresso in Europa, è tempo di chiudere i conti con la storia. È dal 2022 che la Procura bosniaca ha aperto un fascicolo per verificare accuse lanciate dal regista sloveno di Sarajevo Safari Miran Zupanic e in parte raccolte da Gavazzeni, che in questo lavoro di ricostruzione si è avvalso della collaborazione dell'ex magistrato Guido Salvini. Ma da fonti bosniache si è appreso che la procuratrice in carica Marijana obovi non avrebbe fatto nulla o quasi, sebbene negli archivi militari ci siano testimoni e prove, nonostante le pressioni del sindaco di Sarajevo Benjamina Karic. Chi invece ritiene che queste accuse siano del tutto inventate e prive di riscontri è eljka Cvijanovic, politico filo putiniano e prima donna a capo della Republika Srpska in rappresentanza dell'etnia serba.

Italiani, ma anche americani, canadesi e russi, "persone potenti con un profilo psicologico molto specifico", arrivate una volta al mese con mezzi propri ma anche in elicottero. Quanto a possibili gruppi filo ustàscia croati, un vecchio articolo del Corriere della Sera di quegli anni dal titolo Vacanze in Bosnia, tiro all'uomo compreso sarebbe pieno di imprecisioni e inattendibile. I servizi italiani - Sismi e Sisde - sarebbero stati allertati dalle autorità locali, potrebbero essere in possesso di documenti secretati e quindi essere chiamate a collaborare con i magistrati.

Qualche anno fa la tesi era stata rilanciata dal giornalista Luca Leone, co-fondatore di Infinito Edizioni e autore nel 2014 del romanzo I bastardi di Sarajevo, secondo cui "bisognerebbe indagare tra mafiosi e malavitose del Nord-Est che, durante la guerra ma anche dopo, andavano nell'ex Jugoslavia a comprare armi".

Nel mirino ci sono anche i gruppi di cacciatori del tempo, gli inquirenti potrebbero anche decidere di passare al setaccio anche gli elenchi di chi frequentava armerie e poligoni. Qualcuno ipotizza che almeno uno di questi cecchini sarebbe stato rintracciato e che avrebbe detto di volersi lasciare alle spalle quella terribile esperienza, ma non ci sono conferme ufficiali. Contattato dal Giornale, Gavazzeni non conferma e non smentisce la voce secondo cui la denuncia penale della Karic sarebbe entrata nel fascicolo di Milano. Da qui la fuga di notizie. Tra i testimoni citati dallo scrittore ci sarebbe un militare ex Ifor che aveva deposto al processo all'Aja contro Miloevic. Scorrendo le agenzie di stampa del tempo è emerso un particolare agghiacciante.

Quando il contingente italiano della brigata Garibaldi prese possesso di quel quartiere per la futura base Italfor, uno degli ultimi a essere restituito alla città assieme a Vraca e Kovacic, un soldato ritrovò sotto una pioggia di bossoli un libro in italiano. Il titolo fa rabbrividire: Il tesoro dell'uomo, leggende dal Vietnam.

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