Se qualcuno sperava nel patto dell'Amarone per sbloccare lo stallo politico a sei settimane dal voto, è rimasto a bocca asciutta. Al massimo c'è stato il patto dello Sforzato, in valtellinese Sfursàt. Un grande rosso da uve Chiavennasca (ma è solo uno pseudonimo del Nebbiolo) che Matteo Salvini ha promesso di offrire al suo alter ego politico attuale, Luigi Di Maio, «perché è lombardo e perché Di Maio si dovrebbe sforzare di più». Giggino da Pomigliano non gradisce, i produttori valtellinesi sì. «Una bella pubblicità per noi», gongola un produttore al padiglione lombardo.
Siamo al Vinitaly edizione 52, prima della terza Repubblica che sì, insomma, sta per nascere ma il parto è complicato perché ci sono fin troppi padri. Qui ci sarebbe tanta voglia di brindare ma il fatto è che due dei presunti papà, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, gironzolano per tutto il giorno tra i padiglioni dove si celebra quella grande magia che è il vino italiano, ma sono l'uno il Godot dell'altro.
Il protocollo li tiene ben lontani, ché la fiera veronese è molto grande, e loro non sono per nulla intenzionati a un fuori programma.
Il leader leghista lo dice chiaramente fin dal suo arrivo di buon mattino. «Oggi non incontro nessuno, sono qui per onorare il made in Italy». Va bene, ma il governo? «Noi siamo pronti. Sono gli altri a non sapere ancora che vino scegliere». Di Maio invece, impinguinato come sempre in completo scuro e cravatta (Salvini invece sopra una camicia azzurra porta un piumino smanicato che poi scomparirà), non si smuove: «Il governo è una questione molto seria, non la possiamo certo affrontare al Vinitaly. Che è un evento molto importante ma pur sempre di settore». Poi la stoccata: «Chi si ostina a proporre un centrodestra unito indica una strada non percorribile e che può fare danno al Paese». Lo Sforzato valtellinese è finito per terra.
Osteria, che pasticcio. La domenica dei lunghi bicchieri scorre così, con questa drammaturgia così simbolica dei due leader vicini eppure lontani. Un bicchiere insieme? Salvini non dice di no: «Io un bicchiere lo farei con tutti». E di calici ne snasa molti l'uomo che ha nazionalizzato la Lega e che fa un vero giro d'Italia del bicchiere, sforando anche l'orario di chiusura della fiera. Ovunque un bagno di folla senza fine, in Lombardia quasi un'ovazione, a un certo punto si ferma a bere anche un Berlusconi. Ovvero un vino prodotto dalla nipote del leader di Forza Italia Alessia nella sua tenuta di Capriano nel bresciano. Un rosso leggero, denominato non a caso 9.9. «Viene fuori alla fine il buono», scherza. E Silvio? «Per lui Fanta, non è buona ma è tanta», battuta invero un po' infantile.
Dovunque ti giri tra i padiglioni veronesi c'è un politico che conciona, Ecco Giorgia Meloni, che a Verona ha deciso di venire all'ultimo, perché meglio non correre il rischio di esser tagliata fuori («un governo autorevole non è mai frutto di un inciucio. Parlare con il M5s? Certo, ma a un certo punto vorrei anche parlare di contenuti partendo dal centrodestra alla guida del governo»). Ecco Maurizio Martina, reggente del Pd più marginale di sempre, che pure viene ripescato da Di Maio che propone lo stesso patto di governo infiocchettato per la Lega.
«Complimenti, brinderemo al governo M5S-Pd con un vino finto italiano ma romeno, e scaduto», ironizza Salvini l'ubiquo. Per Forza Italia ci sono la presidentessa del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e Renato Brunetta. Manca solo Silvio Berlusconi, in Molise a bere Fanta. Alle volte sono gli assenti ad avere ragione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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